domenica 11 ottobre 2015

L'abbuffata dell'Expo 2015 dei grandi artisti americani. Quegli sponsor non contano?

Sappiamo che in America gente come Koons e compagnia, si danno da fare in enormi stanzoni, pieni di ragazzotti,
a realizzare grossi panini, toasts e roba del genere, con colori sgargianti, ben torniti, di formato sopra i due metri, in pieno stile  cartellonistico, insomma la solita americanata. Ma che si dovesse spendere e mettere in scena una tale mostruosità nei padiglioni dell'Expo, ad opera di Celant, per dire, si poteva fare a meno.
Ma ormai, l'artista di successo non è più quello che se ne sta chiuso nella sua stanzetta, a provare
e riprovare le sue creazioni e idee, ma una testa che pensa, assistita da una quantità di mano d'opera, leggi ragazzotti, o assistenti, che in concreto realizzano il tutto. Pensate a Koons o a Cattelan. L'importante è incontrare i gusti del mercato (cioè dei soldi) o di sconvolgere (sic!), con l'ennesima provocazione (installazione).
Poi la gente va al Moma o alla biennale, si guarda le varie installazioni dei suddetti artistoni, con un gelato in mano e finisce con il comprare un tranquillo quadretto di 50x70 a prezzi ragionevoli, di 2-5 mila dollari.
L'artista deve esprimere una poetica strettamente personale, vale a dire un modo di guardare e leggere il mondo (interno ed esterno), che deve parlare alla gente e se possibile nel modo più semplice ed immediato, se possibile. Nella realtà, anche un lavoro che sembra semplicissimo, può essere il frutto di anni di pensiero, concentrazione e prove e riprove. Voglio dire che anche le cose più semplici in arte sono il frutto di una continua rielaborazioni concettuale e tecnica, non lasciatevi ingannare.
Quanta di quella gente che è finita alla Biennale o ad altre importanti mostre, ha poi finito per fare la fame negli anni successivi? Tanta. Pensate ai classici pittori della Transavanguardia; dopo il loro successo negli anni ottanta, a partire da inizio dei novanta sono caduti nel dimenticatoio e vi garantisco che nessuno se li fila più.
Se bastasse solo tradurre in realtà qualsiasi idea o immagine viene in testa, allora si che il mondo dell'arte funzionerebbe nel modo tipico di certi performers. La realtà è ben differente: videoart, accoppiate suoni, rumori e immagini, installazioni delle più disparate e bizzarre realizzazioni, sono solo un forte richiamo per attrarre gente e attenzione mediatica, ma poi il mercato dell'arte, costituito da banche e grosse imprese, oltre ai soliti mega miliardari, non se li fila per nulla. Per non dire che il 90% della videoart è pura paccottaglia da quattro soldi, invendibile anche se lo fosse.

Ho chiesto a Cantone di aprire un’inchiesta su Germano Celant”, pare abbia detto pubblicamente Sgarbi, stando a quanto riporta il Corriere della Sera, “per quella schifezza alla Triennale. Se fossi un magistrato lo avrei già arrestato. Expo ha speso 7 miliardi ed è una cagata pazzesca. A me fa schifo e non capisco perché dobbiamo volere le opere fatte dagli americani e pagarle così tanto quando poi non abbiamo soldi per sistemare i nostri splendidi musei. Io spero proprio che questa inchiesta si faccia. Altro che quella su Farinetti”. Solite sparate sgarbiane, destinate a svanire nel nulla? Eppure qualche verità gli viene accreditata: se un lettore del Corriere commenta “mi sembra che ci sia poco da indagare… Se uno degli sponsor principali è la più grande catena mondiale di fast-food, perché stupirsi se poi fanno una mostra a base di hamburger giganti??”…