Sappiamo da sempre che tutto è riproducibile in arte, forse non
copiabile in modo speculare ma riproducibile con una sovrapposizione direi assoluta, nessuna tecnica o modalità esclusa. Si potrebbe pensare che forse alcuni lavori degli espressionisti astratti, quali Pollock e Rothko, siano praticamente incopiabili e sicuramente, lo sono, ma ripeto, non si tratta di produrre delle copie di quadri esistenti, del resto, questo non è lo scopo del falsario,
quanto di creare dei lavori, del tutto sovrapponibili, per materiali, tecniche e modi espressivi, perfettamente, realisticamente attribuibili a determinati autori, meglio se non più viventi.
copiabile in modo speculare ma riproducibile con una sovrapposizione direi assoluta, nessuna tecnica o modalità esclusa. Si potrebbe pensare che forse alcuni lavori degli espressionisti astratti, quali Pollock e Rothko, siano praticamente incopiabili e sicuramente, lo sono, ma ripeto, non si tratta di produrre delle copie di quadri esistenti, del resto, questo non è lo scopo del falsario,
quanto di creare dei lavori, del tutto sovrapponibili, per materiali, tecniche e modi espressivi, perfettamente, realisticamente attribuibili a determinati autori, meglio se non più viventi.
Ripeto, fare un quadro con larghe campiture, con impregnatura di colori della tela, non è facile, ma nemmeno è difficile raggiungere dei buoni risultati, una volta che hai visto bene i quadri originali di Rothko, e idem per Pollock,
Ho preso questi due autori prorpio per la loro assoluta originalità del discorso artistico e tecnico, entrambi espressionisti astratti ma appartenenti a due mondi differenti nell'approccio espressivo: uno con uso di una forte gestualità e impulsività, l'altro con una riflessione interiore più intensa, con uso di impregnature di trementina della tela, e di spugnature, quasi a far scivolare il colore, senza alcun impatto diretto sulla tela.
Intanto, comincio col dire che a partire dalla metà degli anni cinquanta e fino a tutti gli annni sessanta, posso contare una marea sterminata di pittori, anche di ottimo nome, che si sono inseriti nel solco segnato da questi due apripista, che restano i numeri uno nella storia dell'arte contemporanea del novecento e in generale.
Tra coloro che si inseriscono nella pista di Pollock, penso a Burri, alla sua azione del bruciare balle e teli di plastica, tecnica che ripercorre la gestualità tipica dell'action. E parlando di Burri, posso parlare anche di Bernard Aubertin, che ha fermato il lavoro alle famose tele con fiammiferi bruciati e simili giochetti, ma possiamo metterci anche Arman, almeno una parte della sua vita artistica è stata volta a stravolgere gli oggetti, ad esempio un pianoforte mezzo bruciacchiato e via dicendo per non dire di George Mathieu, vero grande interprete europeo dell'action painting, senza dripping, ma mantenedo una forza espressiva e d'impatto, straordinarie (per me lo considero il mio maestro, avendolo conosciuto a fine anni settanta, al tempo in cui in Italia si parlava di rapimento Moro e simili storielle di ammazzamenti quotidiani),
Per contro, Soulage, forse il più onesto e coerente artista francese, ancora in vita, possiamo infilarlo nel solco di Rothko, nell'uso di campiture di colore, non tramite impregnatura, peraltro Soulage lavora su tavola, ma con colature e sabbiature per ottenere effetti comunque sovrapponibili a quelli della Large Color Field di Rothko. Di gente che poi ha continuato a proporre negli anni fine '50 fino a quasi fine '60 tele bianche o comunque monocromatiche, o bicromatiche, persino tricromatiche, con o senza righe trasversali, inutile farne nomi ed elenco, perchè non si finirebbe più, e chi sa di cosa parlo, può benissimo stilare un proprio elenco all'impronta.
Nota: non parlo qui degli imitatori della prima pop art, sia britannica, quella originaria e primitiva, già in pieno fermento ed ebollizione negli ultimi anni cinquanta nella Londra pre-psichedelica che sarebbe divenuta entro pochi anni; meno ancora della pop americana, perché gli imitatori, sotto una miriade di piccole variabili e trucchetti scenici per cercare una apparenza di originalità, sono sterminati, infiniti, anche perché mentre l'informale è poco imitato dal mondo asiatico, gli oggetti concreti della pop art sono riprodotti da molti artisti cinesi, coreani e via discorrendo.
Si dice che l'astrattismo, e l'informale sono ormai spenti da almeno tre decenni, ma so che questo è un tipico discorso da lavaggio del cervello che cercano di fare alcuni personaggi del sistema dell'arte, per trarre profitti maggiori.
Intanto mentre la Pop è una forma tipicamente sociale e intellettuale, l'astrattismo è una forma tipicamente primitiva e quindi arcaica di espressività (ci sono molte tracce di rappresentazioni astratte nel corso dei secoli, anche nella preistoria).
Questo cosa significa? Parlo da tecnico adesso, significa che mentre la pop è creata da una parte prevalente del nostro cervello, per intenderci diciamo con un intervento massiccio della corteccia frontale e prefrontale, cioè la parte cerebrale che controlla la nostra razionalità e socialità, l'astrattismo si basa su una mediazione prevalente del cervello più primitivo, istintuale, quindi delle strutture limbiche, del talamo e della corteccia visiva, con meno preponderanza delle parti più evolute, relegate solo a lasciar passare i messaggi e i segni che partono dal cervello diencefalico.
Insomma, mentre la Pop Art è una creazione tipicamente culturale e sociale, l'Astrattismo Lirico, e ancor più l'Espressionismo Astratto, è una forma immediata, non mediata, di espressione segnica e simbolica, che necessita una realizzazione rapida direi quasi automatica, senza apparente riflessione (penso a Mathieu, quando lasciava muovere braccia e polsi, per imprimere la forza della traccia di colore e materia).
Questo significa che mentre la Pop Art risponde ad un significato di riproduzione di immagini che troviamo attorno a noi (ad esempio non alla persona Marilyn, ma alla sua immagine patinata, quella più tipica rimandataci dai media) e crea un legame di rassicurazione con il fruitore, circa la realtà che lo circonda, l'Astrattismo lirico non è volto a mediare con segni, simboli e immagini della socialità contemporanea, né a rassicurare, ma solo si occupa di portare il mondo dell'istinto, dell'inconscio, delle emozioni profonde, davanti agli occhi del fruitore, senza altra mediazione che il supporto utilizzato.
E' chiaro che mentre ci si può inventare artisti della Pop Art, con una minima parvenza di credibilità, non altrettanto facile è provare a realizzare un astrattismo lirico di spessore e legato a un incontrovertibile segno personale. Infatti, la caratteristica dell'astrattismo lirico o espressionista, a differenza di quello geometrico, totalmente differente e mediato più culturalmente, è che presuppone un lasciar correre i sentimenti, le emozioni e lasciarle liberamente fluire sul supporto, utilizzando i materiali che ci piacciono e realizzando il lavoro in poco tempo e con continuità.
Si capisce subito che mentre nella pop, posso costruire dei giochetti, degli oggetti da mettere di fronte al fruitore, nell'astrattismo, devo solo lasciar fare il lavoro all'istinto, e lasciare che lo spettatore ci metta la sua parte per attribuire non un significato specifico, ma una sollecitazione di emozioni e a volte, un inebriamento intellettuale. quindi, se dentro di me ho delle emozioni, le lascio esprimere mediando solo il minimo possibile, per lasciarle poi alla visione dello spettatore.
Il punto qui è che c'è uno stretto imbuto, nel senso che per realizzare qualcosa di interessante, occorre poter disporre di una forza espressiva, di una personalità non comuni, inoltre utilizzando mezzi assai ristretti (ricordo che non ci sono oggetti, ninnoli e trucchetti) e questo è un punto fermo dell'astrattismo. Se da un lato molti lo possono fare, pochi riescono a farlo con forza e potenza espressiva tale da renderlo un vero oggetto d'arte.
Mentre nella Pop, occorre una preparazione tecnica, scaltrezza, utilizzare giochetti e trucchetti per imbrigliare l'attenzione del fruitore, cosa più facile, visto il potere rassicurante dell'immagine e dell'oggetto.
Ora, venendo al punto del falso, occorre chiarire che esistono quadri olografi e quadri firmati ma non olografi: significa che un quadro è realizzato dall'autore che l'ha anche firmato di pugno, mentre nel secondo caso il quadro è realizzato da un pittore di bottega o con la sua partecipazione influente, e poi firmato dall'artista.
Ad esempio molti lavori di Schifano non sono completamente olografi, pur essendo debitamente firmati da lui medesimo in persona e questo vale per tanta roba definita "Grafica" (sic!), che comporta il mettersi seduti a firmare centinaia e a volte migliaia di duplicati seriali...
Che c'entra la pop e l'astratto con il falso? Credo che il lettore ormai stia capendo che un conto e fare un quadro pop in stile di qialche autore famoso, altra cosa è fare un quadro che sembra realmente fatto da uno dei grandi dell'astrattismo lirico e dell'action painting. Provatevi a cercare di farlo, o pensate anche solo a farlo, usando gli stessi materiali degli autori originali e vi rendete conto di che razza di ginepraio state per infilarvi.
Molto meglio clonare una delle tante marilyn dei vari pop artisti, con qualche copia serigrafica, qualche montaggio al computer, potete preparare la tela al computer, stamparci sopra le velature della merilyn, e poi lavorarci sopra con collage, inchiostri e insomma tutto quello che ci vuole per una buona copia.
Poi, qualche personaggio magari in buona fede, dirà che si tratta di un lavoro autografo o anche olografo del tale artista pop, mancante quindi di certificazione e il gioco è fatto, o quasi...
Chiunque può riprodurre la grafica e falsificare le firme, mentre falsificare un quadro significa fare un quadro che non esiste, usare materiali e mezzi, tecniche dell'artista originale e poi falsificarne la firma. A questo punto, se l'artista possiede un inventario generale delle opere, manca il numero di inserimento del falso creato, e per questo occorre inventare che si tratta di un lavoro acquisito molti anni fa, senza un numero di archivio.
Ma il modo migliore per falsificare un quadro contemporaneo, è quello che sembra attuato qui sotto, con Franco Angeli e le sue opere, spesso seriali.
Da Il Giornale
Finisce a processo la banda che «clonava» la Pop Art
Rinviati a giudizio in cinque: avrebbero falsificato 1650 opere dell'artista Franco Angeli, vendendone circa un migliaio: un business da 8 milioni di euro
Avrebbero falsificato almeno 1.650 opere di Franco Angeli, protagonista della Pop Art italiana scomparso nel 1988, per un giro d'affari di 8 milioni di euro. E quando sono stati arrestati, il 7 ottobre 2009, ne avevano già messe sul mercato un migliaio.
Oggi in cinque sono stati rinviati a giudizio con le accuse di associazione per delinquere finalizzata alla commercializzazione e alla contraffazione di opere d'arte, truffa e ricettazione. Un sesto imputato, uno dei pittori che realizzava i falsi, ha patteggiato. Finisce così a giudizio, per ordine del giudice per l'udienza preliminare Anna Maria Zamagni, la più vasta e strutturata organizzazione di falsi che, attiva in tutta Italia, aveva il quartiere generale proprio nell'archivio storico di Angeli, ceduto anni fa dal principale collaboratore dell'artista alla società Magi Arte srl di Milano, oggi chiusa.
Il gup ha rinviato a giudizio i due presunti capi dell'organizzazione criminale, il curatore del patrimonio Antonio Minniti e Giuseppe Franceschi; uno dei pittori che eseguivano i falsi, Sergio Galeano; l'uomo che immetteva sul mercato le opere contraffatte, Augusto Medici; e Sebastiano Giglia, cocuratore. Per loro il processo comincerà il 28 settembre 2011 davanti all'undicesima sezione penale. Zamagni ha invece accolto la richiesta di patteggiamento del secondo pittore, Tiziano Bertacco, a cui sono stati applicati due anni di reclusione con la sospensione condizionale della pena.
Tutti, eccetto Giglia, erano stati messi agli arresti domiciliari con ordinanza di custodia cautelare dal gip del tribunale di Roma che aveva poi trasmesso gli atti a Milano per competenza territoriale. L'operazione era stata eseguita dai carabinieri del comando Tutela patrimonio culturale sotto il nome «Half dollar», dal titolo di un'opera di Angeli. L'indagine era partita dall'individuazione di una quarantina di falsi esposti in una mostra nell'ottobre 2008.
Secondo quanto spiegato in occasione degli arresti dai carabinieri, che avevano inoltre sequestrato tutti i falsi non ancora venduti, avendo rilevato dal collaboratore principale di Angeli la gestione dell'archivio generale, gli indagati avevano tutte le autorizzazioni per operare nel campo dell'autenticazione e certificazione delle sue opere. Si erano inoltre dotati di matrici false per riprodurre in serie le opere più note.
Nota: 8 milioni di euro diviso 1000 quadri, fanno una media di 8.000 euri a quadro, credo, neanche poco, perché secondo me, Angeli vale una media di 5-6.000 a quadro, poi ci sono i lavori più significativi, grandi che superano i ventimila, ma si tratta di un 400 lavori.
Consideriamo che all'autore, dal 2013 va anche il DIRITTO DI SEGUITO, vale a dire la quota siae sull'incremento di valore sui passaggi successivi al primo.
OPERAZIONE "HALF DOLLAR" - COMUNICATO STAMPA
Alle prime luci dell'alba del 7 ottobre 2009, in Milano, Bologna, Modena e San Donà di Piave (VE), militari del Reparto Operativo Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, coadiuvati dai Nuclei TPC di Bologna, Venezia e Monza, nonché dai competenti reparti dell'Arma territoriale, hanno arrestato cinque persone (MINNITI Antonio, BERTACCO Tiziano, FRANCESCHI Giuseppe, MEDICI Augusto e GALEANO Sergio), in esecuzione di ordinanze di custodia cautelare agli arresti domiciliari emesse dal GIP del Tribunale di Roma per associazione per delinquere finalizzata alla commercializzazione e alla contraffazione di opere d'arte, ricettazione e truffa.
Le indagini, iniziate nel maggio 2008, sono scaturite dal rinvenimento, presso un esercizio commerciale di settore in Roma, di alcune opere false dell'artista Franco Angeli, presentate dalla Magi Arte s.r.l. di Milano, detentrice dell'archivio del medesimo artista, curato da MINNITI Antonio.
Le conseguenti attività investigative, complesse ed articolate, hanno permesso di riscontrare l'esistenza di un giro d'affari di milioni di euro, gestito dalla Magi Arte, collegato alla contraffazione e alla commercializzazione delle opere del maestro Angeli, che ha coinvolto collezionisti e galleristi di tutta Italia, sia tramite trattative dirette, che attraverso il canale e-commerce, delineando una vera e propria associazione per delinquere, con al vertice MINNITI Antonio, come curatore anche del ramo economico, e BERTACCO Tiziano, pittore, come realizzatore dei falsi dipinti a firma Angeli.
La peculiarità di tale organizzazione, che ne caratterizza anche la pericolosità e la capacità di inquinare il mercato, con grave nocumento soprattutto per la storia e la figura artistica di Franco Angeli, noto autore d'arte contemporanea, scomparso nel 1988, si concretizza nell'essersi imposta come detentrice dell'archivio del maestro, persuadendo i collezionisti della genuinità delle opere poste in commercio, per quanto false, proprio tramite il rilascio delle certificazioni di autenticità. Emblematico è stato il rinvenimento, presso un deposito della easy box di Milano, di ben 227 opere false, già archiviate come autentiche, pronte per essere immesse sul mercato.
Nell'ambito delle medesime indagini è emersa l'esistenza di un ulteriore sodalizio criminale, anch'esso dedito alla contraffazione e alla commercializzazione di opere d'arte dello stesso artista, che ha intrattenuto relazioni e cointeressenze delinquenziali con l'organizzazione facente capo a MINNITI Antonio. In particolare, sono stati individuati i soggetti coinvolti nel prefato sodalizio, che ha realizzato un considerevole giro d'affari su tutto il territorio nazionale, esplicitandone i ruoli, ovvero: FRANCESCHI Giuseppe, capo, MEDICI Augusto, terminale di immissione nel mercato delle opere contraffatte, soprattutto tramite il canale e-commerce, e GALEANO Sergio, esecutore materiale dei falsi dipinti.
Nel corso delle investigazioni, sono state sequestrate complessivamente 650 opere false, il cui valore sul mercato dell'arte contemporanea è stimato oltre i 4.000.000,00 euro, e sono stati localizzati i luoghi di produzione delle opere falsificate, con i relativi strumenti ed attrezzature (matrici di soggetti di Franco Angeli, tele bianche, colori, pennelli, cataloghi, vernici spray).
Glafira Rosales, a processo nella Grande Mela per un clamoroso caso che ha visto immettere sul mercato dell’arte, dal 1994 al 2009, oltre sessanta falsi d’autore. Ci sono iJackson Pollock, i Mark Rothko e i Willem de Kooning: tutti spacciati come inediti scovati in collezioni private spagnole e svizzere (che nemmeno esistono, hanno scoperto gli inquirenti), tutti rifilati a due gallerie con sede a Manhattan e da qui rivenduti a ignari collezionisti.
Il volume di affari è stimato complessivamente attorno agli 80milioni di dollari, 33 quelli intascati direttamente dalla Rosales, 56 anni, che per questa vicenda colleziona capi di imputazione nemmeno fossero le figurine Panini. Perché se ricavi cifre a sei zeri dal commercio illegale di opere d’arte fasulle hai qualche difficoltà a giustificare gli importi in sede di dichiarazione dei redditi: e così finisci nel campo della frode fiscale e del riciclaggio, sommando accuse su accuse. E gli anni al gabbio che, in caso di condanna, crescono in proporzione esponenziale.
Il bubbone è scoppiato nel 2004, con l’allora presidente del gruppo Gucci Domenico De Sole che va con la moglie a fare compere dalle parti di Park Avenue, entra nella premiata Knoedler Art Gallery – fondata nel 1846, età da record – esce con un Rothko sotto il braccio e alleggerito di otto milioni e trecentomila dollari. Le credenziali della galleria sono inoppugnabili, come l’affidabilità della direttrice Ann Freedman: un po’ meno quelle dell’art dealer da cui la galleria si è rifornita. E il quadro si rivela ben presto essere una patacca. Da qui l’effetto domino, che porta alla progressiva scoperta di un numero impressionante di truffe: c’è un altro Rothko comprato nel 2002 dal trust intitolato a Martin Hilti per cinque milioni e mezzo, c’è il Pollock pagato nel 2007 da Pierre Lagrange la bellezza di diciassette milioni. C’è, in mezzo, l’ignominiosa chiusura della Knoedler, massacrata nella propria credibilità. Ed ora la resa dei conti…
- Francesco Sala
Giancarlo Bellesini, un uomo di 48 anni, dopo un passato di furti e rapine sarebbe diventato il falsario numero uno di Mario Schifano, forse il pittore più "clonato" di tutti i tempi. A Bellesini vengono attribuite oltre cinquecento tele apocrife, pagate a forfait tra le 200 e le 700 mila lire e vendute a collezionisti in buona fede per cifre che arrivano fino a 70 milioni. La sua specialità erano le opere degli anni 80 ma pare che spingesse il suo virtuosismo di plagiatore fino a riprodurre i dipinti del periodo monocromatico, quei quadri ancora quasi sconosciuti (e oggi quotatissimi) scoperti, dieci anni prima, da collezionisti del calibro di Gianni e Marella Agnelli. Dal revolver al pennello: un percorso molto frequente nella malavita romana. Come quello fatto da Antonio Chichiarelli, boss malavitoso in odore di servizi segreti falciato a colpi di mitra nel settembre dell' 84 o Pippo Calò, l' ex cassiere della Gang della Magliana fino a Jean Daniel Nieto, sequestratore di Giovanna Amati. Anche Bellesini aveva imparato a dipingere dietro le sbarre ma, una volta uscito, non era riuscito ad affermarsi come pittore "vero". Qualche mostra collettiva, pochi quadri vendutia a un giro ristretto. Eppure in passato, almeno secondo una voce raccolta dagli investigatori, aveva frequentato davvero quel porto di mare che era lo studio dell' Andy Warhol italiano a piazza Navona.
Poi l' incontro con Anna Maria Governatori Marieni, 57 anni, la titolare di una vera e propria fabbrica di falsi Schifano, che l' aveva arruolato in servizio permanente effettivo permettendogli di vivere decorosamente, nella sua villa di Tor Lupara di Mentana, con la moglie e i due figli. La donna è stata arrestata qualche giorno fa, assieme ad altre quattro persone, dai carabinieri del Comando tutela del patrimonio artistico nella più grande indagine sui falsi mai scattata in Italia: mille tele sequestrate, tredici indagati. All' appello mancava solo Bellesini, il mago. Il nome del pittore sarebbe emerso durante gli interrogatori ma l' uomo era riuscito a prendere il largo anche se gli mancavano gli agganci per scomparire definitivamente. Gallerista d' arte, ex amica di Mario Schifano che aveva addirittura ospitato a casa per tentare di disintossicarlo dall' alcol e dalle droghe, Maria Governatori Marieni era una figura conosciuta nel mondo dell' arte contemporanea. La donna aveva una piccola e fidata pattuglia di falsari a cui commissionava le tele, un gruppo di specialisti capeggiato da Bellesini.
Monica De Bei, vedova di Schifano e vicepresidente della Fondazione, è indignata per le illazioni della signora Marieni: «Noi l'abbiamo denunciata una decina di volte» dice. Poi mostra una carta: «Ecco la deposizione in cui lo stesso Schifano, nel marzo '97, davanti al tribunale di Ravenna, testimoniava su una storia di quadri falsi e negava quello che aveva saputo Marieni andava affermando in quel periodo, e cioè che lui le avrebbe pagato in quadri prestazioni sessuali, che addirittura avrebbe avuto un figlio da lui...».
Schifano, in quella testimonianza, ricordava anche di aver già «deposto in processi, nel Veneto e a Roma, per altre opere false a me attribuite, che anche in questi casi erano provenienti dalla signora Marieni». Lei oggi insiste sulla collaborazione con il maestro: ha presentato una carta bollata firmata anni fa dallo stesso Schifano, nella quale le veniva riconosciuto un ruolo ufficiale di esperta e catalogatrice delle sue opere. Ma i carabinieri le contestano la falsità anche di quell'atto: il tipo di carta bollata, purtroppo, non era in commercio nell'anno annotato in calce.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Omissis
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
omissis
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
l - Con sentenza del 26.2.2007 la corte d'appello di Roma ha integralmente confermato quella resa il 21.4.2004 dal locale tribunale, che aveva condannato Anna Maria Governatori alla pena di sei mesi di reclusione ed euro 300 di multa, avendola giudicata colpevole del reato previsto e punito dagli artt. 81 cpv. c.p., 3 e 4 legge 20.1.1971 n. 1062, perché in più occasioni aveva autenticato sei dipinti attribuiti al maestro Mario Schifano, conoscendone la falsità, e aveva posto in commercio tre degli stessi dipinti (accertato in Roma e in Campobasso in epoca antecedente al maggio 2000).
I giudici di merito hanno inoltre condannato la Governatori al risarcimento dei danni a favore della parte civile Gaetano Molinaro, e hanno disposto la immediata restituzione dei quadri sequestrati al medesimo Molinaro.
In linea di fatto e di diritto la corte territoriale ha rilevato e ritenuto che:
- il Molinaro aveva acquistato i sei quadri de quibus presso una galleria d'arte di Campobasso, di cui era titolare Pietro Perrino, al prezzo di lire 7.000.000 cadauno;
- detti quadri erano stati venduti al Ferrino da tale Giuliano Crescimbeni ed erano accompagnati da certificati di autenticità rilasciati dalla Governatori;
- la esperta di arte contemporanea Ester Coen aveva motivatamente accertato che i dipinti erano apocrifi e costituivano una maldestra imitazione dello stile personale di Mario Schifano, difficile da imitare;
- nessun dubbio poteva sussistere sul fatto che la Governatori fosse consapevole della falsità, non solo per il significativo grado di apocrificità, ma anche perché la stessa, oltre che gallerista ed esperta d'arte contemporanea, aveva avuto in epoca passata un travagliato rapporto personale con l'artista.
2 - Il difensore dell'imputata ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi a sostegno.
Col primo lamenta inosservanza o erronea applicazione delle norme incriminatrici, sostenendo che in relazione alle opere del maestro Schifano sussistono seri dubbi sulla loro reale paternità, stante la sua abitudine di avvalersi di numerosissimi collaboratori ai quali consentiva di dipingere i quadri sui quali egli si limitava ad apporre la sua firma, finendo così per rendere autentiche quelle opere di scuola che autentiche non erano.
Col secondo motivo avanza la tesi che il fatto deve ritenersi depenalizzato dopo l'abrogazione della legge 1062/1971; e che comunque il reato non è applicabile per le opere di autori viventi o la cui esecuzione risale a non oltre cinquantanni.
Motivi della decisione
3 Va anzitutto esaminato il secondo motivo di ricorso, con cui si sostiene la in via principale depenalizzazione del contestato reato, previsto e punito dall'art. 4, in relazione all'art. 3, della legge 20.11.1971 n. 1062 (norme penali sulla contraffazione od alterazione di opere d'arte). L' art. 4, al n. 1, punisce con le stesse pene previste dall'art. 3 (reclusione da tre mesi a quattro anni e multa da lire 200.000 fino a lire 6.000.000) chiunque, conoscendone la falsità, autentica opere di pittura, scultura o grafica, ovvero oggetti di antichità o di interesse storico od archeologico, contraffatti, alterati o riprodotti.
Il successivo D.Lgs. 29.10.1999 n. 490 (testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali), con l'art. 166, ha abrogato il predetto art. 4, e tutte le altre norme della legge 1062/1971, ad eccezione degli artt. 8, secondo comma, e 9. Ma con l'art. 127 ha riprodotto esattamente la norma abrogata di cui al ripetuto art. 4, punendo con la reclusione da tre mesi a quattro anni e con la multa da lire 200.000 fino a lire 6.000.000, chiunque, conoscendone la falsità, autentica opere di pittura, scultura o grafica, ovvero oggetti di antichità, nonché oggetti di interesse storico od archeologico (lett. c) in relazione alle lett. a) e b) dello stesso art. 127).
E' di tutta evidenza la perfetta continuità normativa tra le due fattispecie penali (con l'unica particolarità che il nuovo testo unico, in conformità della delega conferita con la legge n. 352 dell'8.10.1997, ha provveduto al coordinamento sostanziale della disciplina delle pene accessorie con quella prevista dal codice penale).
Contrariamente alla tesi adombrata dal difensore ricorrente, è altrettanto evidente che tale continuità normativa non è minimamente scalfita dalla sopravvivenza dell'art. 9 della citata legge 1962/1971, il quale si limita a stabilire che nei procedimenti penali relativi ai reati de quibus, il giudice, fino a quando non sia istituito l'albo dei consulenti tecnici in materia di opere d'arte, deve avvalersi di periti indicati dal Ministro per la pubblica istruzione, e, nei casi di opere d'arte moderna e contemporanea, è altresì tenuto ad assumere come testimone l'autore a cui l'opera d'arte sia attribuita o di cui l'opera d'arte rechi la firma. Successivamente, tutto il D.Lgs. 490/1999 è stato abrogato (a far data dal 1.5.2004) dall'art. 184 del D.Lgs. 22.1.2004 n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio). Ma anche in questo caso le norme sono state riproposte nel nuovo testo legislativo; e segnatamente il predetto art. 127 è stato letteralmente riprodotto nell'art. 178 del D.Lgs. 42/2004, che reca anche la stessa rubrica (contraffazione di opere d'arte) e prevede la stessa pena per chiunque commercia, autentica falsamente o accredita opere contraffatte, salvo che la pena pecuniaria è espressa in euro e non più in lire.
..
4 - Nel secondo motivo di ricorso il difensore sostiene altresì che la norma incriminatrice, comunque, non può applicarsi alle opere di Mario Schifano.
E' noto che l'artista è morto il 26.1.1998, mentre sembra pacifico che le opere contraffatte di cui si discute sono state eseguite entro il cinquantennio precedente la commissione del fatto contestato.
A sostegno della sua tesi subordinata il difensore, sia pure con argomentazione generica, menziona la sopravvivenza del menzionato art. 9 della legge 1062/1971, nonché la sentenza n. 37782 del 18.9.2001 della terza sezione di questa Corte, (imp. Patara, rv. 220352), secondo la quale la sanzione penale prevista dall'alt 127 del D.Lgs. 490/1999, (quindi anche quella prevista dalla successiva norma di cui all'art. 178 D.Lgs. 42/2004), non si applica alle opere di autori viventi o la cui esecuzione non risalga a oltre cinquantanni. Questa tesi si basa sulla considerazione che dalla disciplina del Titolo I del D.Lgs. 490/1999, relativo ai beni culturali, che include anche l'art. 127, sono espressamente escluse le opere suddette per effetto della disposizione contenuta nell'art. 2, comma 6, dello stesso decreto.
Ma la sentenza Patara è rimasta isolata, essendo motivatamente contrastata da Cass. Sez. III, n. 22038 del 12.2.22003, Pludwinski, rv.225318, nonché da Cass. Sez. III, n. 26072 del 13.10.3007, Volpini, rv. 237221. Soprattutto, non può essere seguita dopo che la Corte costituzionale, con sentenza n. 173/2002, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 6, e 127 del D.Lgs. 29.10.1999 n. 490, perché basata su una erronea interpretazione delle norme censurate, che appunto escludeva dalla sfera di applicazione della menzionata norma dell'art. 127 le opere di autori viventi o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni.
In buona sostanza, in queste pronunce si dimostra che la disposizione di cui al menzionato art. 2, comma 6, è frutto di un difetto di coordinamento del legislatore delegato, il quale, in forza della delega ricevuta, che era limitata al coordinamento formale e sostanziale delle norme vigenti, poteva e doveva escludere dalla disciplina dei beni culturali le opere di autori viventi o comunque non risalenti ad oltre cinquantanni, giacché tale esclusione era già prevista dall'omologo art. 1, ultimo comma, della precedente legge n. 1089 del 1939, relativa appunto ai beni artistici e culturali; ma non poteva escludere le stesse opere dalla disciplina relativa alla contraffazione delle opere d'arte, giacché una siffatta esclusione non era prevista nella precedente legge 1062/1971 relativa a quest'ultima materia.
Tanto ciò è vero che il successivo D.Lgs. 42/2004, con l'art. 10, comma 5, confermando la esclusione dalla disciplina relativa ai beni culturali delle opere di autori viventi o comunque risalenti a non oltre cinquantanni, ha fatto salve le disposizioni contenute nell'art. 64, relative agli attestati di autenticità e di provenienza, e nell'art. 178, appunto relative alle contraffazioni. Per una più approfondita argomentazione sul punto si rinvia alla citata sentenza Volpini.
D'altronde, è proprio la sopravvivenza del summenzionato art. 9, comma 2, della legge 1062/1971, invocata dal ricorrente, che milita a favore della tesi qui sostenuta, giacché -come ha annotato esattamente il giudice delle leggi - non avrebbe più alcuna ragione continuare a prevedere che il giudice penale debba assumere come testimone l'autore a cui è attribuita l'opera contraffatta se le fattispecie incriminatrici contenute nell'art. 127 non si riferissero anche alle opere di autori viventi.
Va quindi affermato il principio secondo cui le disposizioni di cui all'art. 127 del D.Lgs. 490/1999, relative alla contraffazione delle opere d'arte, si applicano anche alle opere di autori viventi o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquantanni rispetto al reato contestato.
Nel caso di specie, peraltro, il problema non si pone, dovendosi applicare l'art. 178 del D. Lgs. 42/2004, che è fatto salvo dal suddetto art. 10, comma 5, anche con riferimento alle opere di autori viventi o comunque non risalenti oltre il cinquantennio.
5 - Piuttosto le disposizioni contenute nel predetto art. 9 pongono alcuni problemi che vanno esaminati d'ufficio, laddove prevedono che il giudice, fino a quando non è istituito l'albo del consulenti tecnici in materia di opere d'arte, deve avvalersi di periti indicati dal Ministro per la pubblica istruzione (comma 1), e deve altresì assumere come testimone l'autore apparente dell'opera ipoteticamente contraffatta, nel caso che si tratti di opera d'arte contemporanea di autore vivente (comma 2).
Nel caso di specie, non poteva essere assunta la testimonianza del maestro Schifano, essendo questi deceduto nel 1998, mentre non è chiaro se sia stata rispettata la disposizione sulla perizia.
Su quest'ultimo punto, peraltro, questa Corte ha già avuto modo di esprimersi con una sentenza risalente, osservando che la disposizione non è prevista a pena di nullità, sicché il giudice ben può rivolgersi a consulenti di sua fiducia, scelti tra i perito del tribunale (Cass. Sez. II, n. 9924 del 5.5.51981, Broccagni, rv. 150837).
Il principio va condiviso nel senso che:
- sino a quando non è istituito l'albo dei consulenti tecnici in materia di opere d'arte, il giudice deve avvalersi di periti indicati dal Ministero per la pubblica istruzione; - la violazione della norma, però, non configura né una causa di nullità speciale, mancando una specifica sanzione al riguardo, né una causa di nullità generale ai sensi dell'art. 178 c.p.p., giacché la disposizione violata non concerne l'intervento, l'assistenza o la rappresentanza dell'imputato.
6 - Così chiariti i profili di diritto sostanziale e processuale della fattispecie in esame, non c'è dubbio che il ricorso debba essere respinto.
E' infatti manifestamente infondato il primo motivo di ricorso, col quale in sostanza si mette in dubbio l'esattezza delle conclusioni peritali sulla contraffazione delle opere, sostenendo che si trattava invece di opere dei suoi collaboratori, sulle quali il maestro Schifano apponeva la sua firma. Son queste affermazioni ipotetiche, prive di qualsiasi riscontro fattuale, e come tali non possono inficiare il parere argomentato dell'esperto, che il giudice ha fatto proprio con motivazione logica e legittima.
7 - Ai sensi dell'art. 616 c.p.p., al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. Considerato il contenuto del ricorso, non si ritiene di irrogare anche la sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende.
La ricorrente va anche condannata alla rifusione delle spese di parte civile, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
la corte suprema di cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese di parte civile, che liquida nella complessiva somma di 2.000 euro, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 17.1.2008.
Deposito 12/03/2008
23 gennaio 2017 - E il processo per i sette (falsi?) Piero Manzoni si tinge di giallo... Meglio, di nero. Imputato è l’avvocato bresciano Carlo Pelizzari, che il pm Luigi Luzi accusa di ricettazione, messa in commercio di opere d’arte contraffatte e truffa. Il presunto raggirato è J.G., facoltoso commerciante danese appassionato d’arte contemporanea, assistito dall’avvocato Eugenio Losco, che da Pelizzari acquistò - pagandole in blocco 210mila euro - sette opere dell’enfant prodige scomparso trentenne all’inizio degli anni ’60 lasciando i suoi Achrome e la Merda d’artista, i cui lavori originali, oggi, raggiungono quotazioni da capogiro. Al centro della vicenda ci sono loro, quattro Tela grinzata, una Ovatta a rettangoli e due Pacco di carta di giornale, tutte firmate Piero Manzoni ma che, per la Fondazione che porta il suo nome, sarebbero irrimediabilmente false.
Ma ecco il colpo di scena a tinte noir. Nell’aula del tribunale, davanti al giudice Monica Amicone, si sono costituite parte civile (rivendicando la proprietà dei sette lavori) moglie e due figlie di Giovanni Schubert, noto gallerista milanese che sette anni fa venne ucciso, fatto a pezzi e gettato nel Naviglio da un suo giovane collaboratore (poi condannato all’ergastolo), che l’anziana vittima sapeva essersi appropriato di alcuni quadri della galleria per poi rivenderli. Ma perché le eredi Schubert ora rivendicano la proprietà dei sette Manzoni? Perché - dicono - l’avvocato Pelizzari imputato della presunta truffa è, guarda caso, la stessa persona che anni fa aveva conquistato la fiducia di Schubert, uno dei pochi a poter entrare nei locali dove il celebre gallerista custodiva i quadri di sua proprietà.
Locali che, dopo l’omicidio-choc, risultarono misteriosamente quasi vuoti. Ma non è finita. Cinque anni prima di essere barbaramente ucciso, infatti, lo stesso Schubert era rimasto coinvolto (addirittura arrestato, ma poi prosciolto) in un’inchiesta della procura campana di Santa Maria Capua Vetere su un giro di falsi attribuiti a Mario Schifano, altro pratogonista dell’arte contemporanea. In quell’occasione gli investigatori sequestrarono a Schubert opere di vari artisti, compresi due Manzoni che già all’epoca ritennero falsi e che ora sono, insieme agli altri cinque, al centro della vicenda processuale. E allora l’ultimo dubbio che rimane è sul perché gli eredi del gallerista siano entrati nel processo per poter rimettere le mani sulle sette opere di Piero Manzoni ritenute ufficialmente contraffatte. Ma sarà proprio vero che lo sono?
Quotazioni in crescita e aste record per il pittore romanoMario Schifano, morto il 26 gennaio 1998, è uno dei maggiori pittori contemporanei italiani e un maestro dell'arte informale riconosciuto a livello mondiale.
Secondo gli esperti del settore, il valore di mercato delle sue opere è aumentato del 500-600 per cento dal 1995 al 2000, un vero record per l'arte contemporanea.
Un'opera di medie dimensioni (100 centimetri per 85) venduta per 15 milioni nel 1990 da Finarte a Milano, oggi non si troverebbe a meno di 100 milioni.
Nota mia: un 100x85 oggi si compra con 18-25 mila euri, vale a dire, molto meno di quanto si comprava nel 1995.
Due smalti di Schifano, uno del 1961 e uno del 1965, messi in asta da Christie's alla fine dell'anno scorso, sono stati aggiudicati rispettivamente per 127 e 227 milioni.
Archivio Mario Schifano
Sede Borgo Pio 70, Roma
Data di costituzione Anno 2005.
Presidente Monica Schifano.
L'Archivio Mario Schifano è nato per volontà dei legittimi eredi, dopo l'uscita definitiva di Monica Schifano dalla ex Fondazione Mario Schifano nel marzo 2003, con la collaborazione di un gruppo di studiosi scelti per la loro conoscenza profonda dell'opera dell'artista e a lui legati in vita. L'Archivio ha lo scopo di valorizzare l'opera e la memoria dell'artista ed è l'unico organismo legittimato alla tutela e alla gestione dell'immagine e dell'opera di Mario Schifano. Inoltre, l'Archivio detiene il copyright dei film e del materiale artistico. È in corso di preparazione il database contenente l'archivio tecnico scientifico dell'opera completa di Mario Schifano, che sarà consultabile anche online.
Numero opere in archivio Attualmente oltre 1.500. L'Archivio sta provvedendo ad una revisione delle opere per una maggiore trasparenza del mercato.
Fondazione MS Multistudio
Prima della nascita ufficiale dell'Archivio, la tutela dell'opera e del nome dell'artista era gestita dalla Fondazione Mario Schifano, sorta alla sua morte, nel '98. Dopo l'uscita di Monica Schifano, nel marzo 2003, la Fondazione Mario Schifano ha perso la causa contro i legittimi eredi (la moglie e il figlio) e non può più in alcun modo utilizzare il nome dell'artista. L'ex Fondazione Mario Schifano, attualmente Fondazione Ms (Multistudio), (www.fondazionemarioschifano.it), presieduta dall'Avvocato Pierfilippo Capello, non ha però cessato l'attività, e ha in archivio circa 19.000 opere.
Rinviati a giudizio in cinque: avrebbero falsificato 1650 opere dell'artista Franco Angeli, vendendone circa un migliaio: un business da 8 milioni di euro
Avrebbero falsificato almeno 1.650 opere di Franco Angeli, protagonista della Pop Art italiana scomparso nel 1988, per un giro d'affari di 8 milioni di euro. E quando sono stati arrestati, il 7 ottobre 2009, ne avevano già messe sul mercato un migliaio.
Oggi in cinque sono stati rinviati a giudizio con le accuse di associazione per delinquere finalizzata alla commercializzazione e alla contraffazione di opere d'arte, truffa e ricettazione. Un sesto imputato, uno dei pittori che realizzava i falsi, ha patteggiato. Finisce così a giudizio, per ordine del giudice per l'udienza preliminare Anna Maria Zamagni, la più vasta e strutturata organizzazione di falsi che, attiva in tutta Italia, aveva il quartiere generale proprio nell'archivio storico di Angeli, ceduto anni fa dal principale collaboratore dell'artista alla società Magi Arte srl di Milano, oggi chiusa.
Il gup ha rinviato a giudizio i due presunti capi dell'organizzazione criminale, il curatore del patrimonio Antonio Minniti e Giuseppe Franceschi; uno dei pittori che eseguivano i falsi, Sergio Galeano; l'uomo che immetteva sul mercato le opere contraffatte, Augusto Medici; e Sebastiano Giglia, cocuratore. Per loro il processo comincerà il 28 settembre 2011 davanti all'undicesima sezione penale. Zamagni ha invece accolto la richiesta di patteggiamento del secondo pittore, Tiziano Bertacco, a cui sono stati applicati due anni di reclusione con la sospensione condizionale della pena.
Tutti, eccetto Giglia, erano stati messi agli arresti domiciliari con ordinanza di custodia cautelare dal gip del tribunale di Roma che aveva poi trasmesso gli atti a Milano per competenza territoriale. L'operazione era stata eseguita dai carabinieri del comando Tutela patrimonio culturale sotto il nome «Half dollar», dal titolo di un'opera di Angeli. L'indagine era partita dall'individuazione di una quarantina di falsi esposti in una mostra nell'ottobre 2008.
Secondo quanto spiegato in occasione degli arresti dai carabinieri, che avevano inoltre sequestrato tutti i falsi non ancora venduti, avendo rilevato dal collaboratore principale di Angeli la gestione dell'archivio generale, gli indagati avevano tutte le autorizzazioni per operare nel campo dell'autenticazione e certificazione delle sue opere. Si erano inoltre dotati di matrici false per riprodurre in serie le opere più note.
Nota: 8 milioni di euro diviso 1000 quadri, fanno una media di 8.000 euri a quadro, credo, neanche poco, perché secondo me, Angeli vale una media di 5-6.000 a quadro, poi ci sono i lavori più significativi, grandi che superano i ventimila, ma si tratta di un 400 lavori.
Consideriamo che all'autore, dal 2013 va anche il DIRITTO DI SEGUITO, vale a dire la quota siae sull'incremento di valore sui passaggi successivi al primo.
OPERAZIONE "HALF DOLLAR" - COMUNICATO STAMPA
Alle prime luci dell'alba del 7 ottobre 2009, in Milano, Bologna, Modena e San Donà di Piave (VE), militari del Reparto Operativo Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, coadiuvati dai Nuclei TPC di Bologna, Venezia e Monza, nonché dai competenti reparti dell'Arma territoriale, hanno arrestato cinque persone (MINNITI Antonio, BERTACCO Tiziano, FRANCESCHI Giuseppe, MEDICI Augusto e GALEANO Sergio), in esecuzione di ordinanze di custodia cautelare agli arresti domiciliari emesse dal GIP del Tribunale di Roma per associazione per delinquere finalizzata alla commercializzazione e alla contraffazione di opere d'arte, ricettazione e truffa.
Le indagini, iniziate nel maggio 2008, sono scaturite dal rinvenimento, presso un esercizio commerciale di settore in Roma, di alcune opere false dell'artista Franco Angeli, presentate dalla Magi Arte s.r.l. di Milano, detentrice dell'archivio del medesimo artista, curato da MINNITI Antonio.
Le conseguenti attività investigative, complesse ed articolate, hanno permesso di riscontrare l'esistenza di un giro d'affari di milioni di euro, gestito dalla Magi Arte, collegato alla contraffazione e alla commercializzazione delle opere del maestro Angeli, che ha coinvolto collezionisti e galleristi di tutta Italia, sia tramite trattative dirette, che attraverso il canale e-commerce, delineando una vera e propria associazione per delinquere, con al vertice MINNITI Antonio, come curatore anche del ramo economico, e BERTACCO Tiziano, pittore, come realizzatore dei falsi dipinti a firma Angeli.
Alle prime luci dell'alba del 7 ottobre 2009, in Milano, Bologna, Modena e San Donà di Piave (VE), militari del Reparto Operativo Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, coadiuvati dai Nuclei TPC di Bologna, Venezia e Monza, nonché dai competenti reparti dell'Arma territoriale, hanno arrestato cinque persone (MINNITI Antonio, BERTACCO Tiziano, FRANCESCHI Giuseppe, MEDICI Augusto e GALEANO Sergio), in esecuzione di ordinanze di custodia cautelare agli arresti domiciliari emesse dal GIP del Tribunale di Roma per associazione per delinquere finalizzata alla commercializzazione e alla contraffazione di opere d'arte, ricettazione e truffa.
Le indagini, iniziate nel maggio 2008, sono scaturite dal rinvenimento, presso un esercizio commerciale di settore in Roma, di alcune opere false dell'artista Franco Angeli, presentate dalla Magi Arte s.r.l. di Milano, detentrice dell'archivio del medesimo artista, curato da MINNITI Antonio.
Le conseguenti attività investigative, complesse ed articolate, hanno permesso di riscontrare l'esistenza di un giro d'affari di milioni di euro, gestito dalla Magi Arte, collegato alla contraffazione e alla commercializzazione delle opere del maestro Angeli, che ha coinvolto collezionisti e galleristi di tutta Italia, sia tramite trattative dirette, che attraverso il canale e-commerce, delineando una vera e propria associazione per delinquere, con al vertice MINNITI Antonio, come curatore anche del ramo economico, e BERTACCO Tiziano, pittore, come realizzatore dei falsi dipinti a firma Angeli.
La peculiarità di tale organizzazione, che ne caratterizza anche la pericolosità e la capacità di inquinare il mercato, con grave nocumento soprattutto per la storia e la figura artistica di Franco Angeli, noto autore d'arte contemporanea, scomparso nel 1988, si concretizza nell'essersi imposta come detentrice dell'archivio del maestro, persuadendo i collezionisti della genuinità delle opere poste in commercio, per quanto false, proprio tramite il rilascio delle certificazioni di autenticità. Emblematico è stato il rinvenimento, presso un deposito della easy box di Milano, di ben 227 opere false, già archiviate come autentiche, pronte per essere immesse sul mercato.
Nell'ambito delle medesime indagini è emersa l'esistenza di un ulteriore sodalizio criminale, anch'esso dedito alla contraffazione e alla commercializzazione di opere d'arte dello stesso artista, che ha intrattenuto relazioni e cointeressenze delinquenziali con l'organizzazione facente capo a MINNITI Antonio. In particolare, sono stati individuati i soggetti coinvolti nel prefato sodalizio, che ha realizzato un considerevole giro d'affari su tutto il territorio nazionale, esplicitandone i ruoli, ovvero: FRANCESCHI Giuseppe, capo, MEDICI Augusto, terminale di immissione nel mercato delle opere contraffatte, soprattutto tramite il canale e-commerce, e GALEANO Sergio, esecutore materiale dei falsi dipinti.
Nel corso delle investigazioni, sono state sequestrate complessivamente 650 opere false, il cui valore sul mercato dell'arte contemporanea è stimato oltre i 4.000.000,00 euro, e sono stati localizzati i luoghi di produzione delle opere falsificate, con i relativi strumenti ed attrezzature (matrici di soggetti di Franco Angeli, tele bianche, colori, pennelli, cataloghi, vernici spray).
Nell'ambito delle medesime indagini è emersa l'esistenza di un ulteriore sodalizio criminale, anch'esso dedito alla contraffazione e alla commercializzazione di opere d'arte dello stesso artista, che ha intrattenuto relazioni e cointeressenze delinquenziali con l'organizzazione facente capo a MINNITI Antonio. In particolare, sono stati individuati i soggetti coinvolti nel prefato sodalizio, che ha realizzato un considerevole giro d'affari su tutto il territorio nazionale, esplicitandone i ruoli, ovvero: FRANCESCHI Giuseppe, capo, MEDICI Augusto, terminale di immissione nel mercato delle opere contraffatte, soprattutto tramite il canale e-commerce, e GALEANO Sergio, esecutore materiale dei falsi dipinti.
Nel corso delle investigazioni, sono state sequestrate complessivamente 650 opere false, il cui valore sul mercato dell'arte contemporanea è stimato oltre i 4.000.000,00 euro, e sono stati localizzati i luoghi di produzione delle opere falsificate, con i relativi strumenti ed attrezzature (matrici di soggetti di Franco Angeli, tele bianche, colori, pennelli, cataloghi, vernici spray).
Glafira Rosales, a processo nella Grande Mela per un clamoroso caso che ha visto immettere sul mercato dell’arte, dal 1994 al 2009, oltre sessanta falsi d’autore. Ci sono iJackson Pollock, i Mark Rothko e i Willem de Kooning: tutti spacciati come inediti scovati in collezioni private spagnole e svizzere (che nemmeno esistono, hanno scoperto gli inquirenti), tutti rifilati a due gallerie con sede a Manhattan e da qui rivenduti a ignari collezionisti.
Il volume di affari è stimato complessivamente attorno agli 80milioni di dollari, 33 quelli intascati direttamente dalla Rosales, 56 anni, che per questa vicenda colleziona capi di imputazione nemmeno fossero le figurine Panini. Perché se ricavi cifre a sei zeri dal commercio illegale di opere d’arte fasulle hai qualche difficoltà a giustificare gli importi in sede di dichiarazione dei redditi: e così finisci nel campo della frode fiscale e del riciclaggio, sommando accuse su accuse. E gli anni al gabbio che, in caso di condanna, crescono in proporzione esponenziale.
Il bubbone è scoppiato nel 2004, con l’allora presidente del gruppo Gucci Domenico De Sole che va con la moglie a fare compere dalle parti di Park Avenue, entra nella premiata Knoedler Art Gallery – fondata nel 1846, età da record – esce con un Rothko sotto il braccio e alleggerito di otto milioni e trecentomila dollari. Le credenziali della galleria sono inoppugnabili, come l’affidabilità della direttrice Ann Freedman: un po’ meno quelle dell’art dealer da cui la galleria si è rifornita. E il quadro si rivela ben presto essere una patacca. Da qui l’effetto domino, che porta alla progressiva scoperta di un numero impressionante di truffe: c’è un altro Rothko comprato nel 2002 dal trust intitolato a Martin Hilti per cinque milioni e mezzo, c’è il Pollock pagato nel 2007 da Pierre Lagrange la bellezza di diciassette milioni. C’è, in mezzo, l’ignominiosa chiusura della Knoedler, massacrata nella propria credibilità. Ed ora la resa dei conti…
- Francesco Sala
Giancarlo Bellesini, un uomo di 48 anni, dopo un passato di furti e rapine sarebbe diventato il falsario numero uno di Mario Schifano, forse il pittore più "clonato" di tutti i tempi. A Bellesini vengono attribuite oltre cinquecento tele apocrife, pagate a forfait tra le 200 e le 700 mila lire e vendute a collezionisti in buona fede per cifre che arrivano fino a 70 milioni. La sua specialità erano le opere degli anni 80 ma pare che spingesse il suo virtuosismo di plagiatore fino a riprodurre i dipinti del periodo monocromatico, quei quadri ancora quasi sconosciuti (e oggi quotatissimi) scoperti, dieci anni prima, da collezionisti del calibro di Gianni e Marella Agnelli. Dal revolver al pennello: un percorso molto frequente nella malavita romana. Come quello fatto da Antonio Chichiarelli, boss malavitoso in odore di servizi segreti falciato a colpi di mitra nel settembre dell' 84 o Pippo Calò, l' ex cassiere della Gang della Magliana fino a Jean Daniel Nieto, sequestratore di Giovanna Amati. Anche Bellesini aveva imparato a dipingere dietro le sbarre ma, una volta uscito, non era riuscito ad affermarsi come pittore "vero". Qualche mostra collettiva, pochi quadri vendutia a un giro ristretto. Eppure in passato, almeno secondo una voce raccolta dagli investigatori, aveva frequentato davvero quel porto di mare che era lo studio dell' Andy Warhol italiano a piazza Navona.
Poi l' incontro con Anna Maria Governatori Marieni, 57 anni, la titolare di una vera e propria fabbrica di falsi Schifano, che l' aveva arruolato in servizio permanente effettivo permettendogli di vivere decorosamente, nella sua villa di Tor Lupara di Mentana, con la moglie e i due figli. La donna è stata arrestata qualche giorno fa, assieme ad altre quattro persone, dai carabinieri del Comando tutela del patrimonio artistico nella più grande indagine sui falsi mai scattata in Italia: mille tele sequestrate, tredici indagati. All' appello mancava solo Bellesini, il mago. Il nome del pittore sarebbe emerso durante gli interrogatori ma l' uomo era riuscito a prendere il largo anche se gli mancavano gli agganci per scomparire definitivamente. Gallerista d' arte, ex amica di Mario Schifano che aveva addirittura ospitato a casa per tentare di disintossicarlo dall' alcol e dalle droghe, Maria Governatori Marieni era una figura conosciuta nel mondo dell' arte contemporanea. La donna aveva una piccola e fidata pattuglia di falsari a cui commissionava le tele, un gruppo di specialisti capeggiato da Bellesini.
Monica De Bei, vedova di Schifano e vicepresidente della Fondazione, è indignata per le illazioni della signora Marieni: «Noi l'abbiamo denunciata una decina di volte» dice. Poi mostra una carta: «Ecco la deposizione in cui lo stesso Schifano, nel marzo '97, davanti al tribunale di Ravenna, testimoniava su una storia di quadri falsi e negava quello che aveva saputo Marieni andava affermando in quel periodo, e cioè che lui le avrebbe pagato in quadri prestazioni sessuali, che addirittura avrebbe avuto un figlio da lui...».
Schifano, in quella testimonianza, ricordava anche di aver già «deposto in processi, nel Veneto e a Roma, per altre opere false a me attribuite, che anche in questi casi erano provenienti dalla signora Marieni». Lei oggi insiste sulla collaborazione con il maestro: ha presentato una carta bollata firmata anni fa dallo stesso Schifano, nella quale le veniva riconosciuto un ruolo ufficiale di esperta e catalogatrice delle sue opere. Ma i carabinieri le contestano la falsità anche di quell'atto: il tipo di carta bollata, purtroppo, non era in commercio nell'anno annotato in calce.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Sez. III Penale
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Omissis
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
omissis
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
l - Con sentenza del 26.2.2007 la corte d'appello di Roma ha integralmente confermato quella resa il 21.4.2004 dal locale tribunale, che aveva condannato Anna Maria Governatori alla pena di sei mesi di reclusione ed euro 300 di multa, avendola giudicata colpevole del reato previsto e punito dagli artt. 81 cpv. c.p., 3 e 4 legge 20.1.1971 n. 1062, perché in più occasioni aveva autenticato sei dipinti attribuiti al maestro Mario Schifano, conoscendone la falsità, e aveva posto in commercio tre degli stessi dipinti (accertato in Roma e in Campobasso in epoca antecedente al maggio 2000).
I giudici di merito hanno inoltre condannato la Governatori al risarcimento dei danni a favore della parte civile Gaetano Molinaro, e hanno disposto la immediata restituzione dei quadri sequestrati al medesimo Molinaro.
In linea di fatto e di diritto la corte territoriale ha rilevato e ritenuto che:
- il Molinaro aveva acquistato i sei quadri de quibus presso una galleria d'arte di Campobasso, di cui era titolare Pietro Perrino, al prezzo di lire 7.000.000 cadauno;
- detti quadri erano stati venduti al Ferrino da tale Giuliano Crescimbeni ed erano accompagnati da certificati di autenticità rilasciati dalla Governatori;
- la esperta di arte contemporanea Ester Coen aveva motivatamente accertato che i dipinti erano apocrifi e costituivano una maldestra imitazione dello stile personale di Mario Schifano, difficile da imitare;
- nessun dubbio poteva sussistere sul fatto che la Governatori fosse consapevole della falsità, non solo per il significativo grado di apocrificità, ma anche perché la stessa, oltre che gallerista ed esperta d'arte contemporanea, aveva avuto in epoca passata un travagliato rapporto personale con l'artista.
2 - Il difensore dell'imputata ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi a sostegno.
Col primo lamenta inosservanza o erronea applicazione delle norme incriminatrici, sostenendo che in relazione alle opere del maestro Schifano sussistono seri dubbi sulla loro reale paternità, stante la sua abitudine di avvalersi di numerosissimi collaboratori ai quali consentiva di dipingere i quadri sui quali egli si limitava ad apporre la sua firma, finendo così per rendere autentiche quelle opere di scuola che autentiche non erano.
Col secondo motivo avanza la tesi che il fatto deve ritenersi depenalizzato dopo l'abrogazione della legge 1062/1971; e che comunque il reato non è applicabile per le opere di autori viventi o la cui esecuzione risale a non oltre cinquantanni.
Motivi della decisione
3 Va anzitutto esaminato il secondo motivo di ricorso, con cui si sostiene la in via principale depenalizzazione del contestato reato, previsto e punito dall'art. 4, in relazione all'art. 3, della legge 20.11.1971 n. 1062 (norme penali sulla contraffazione od alterazione di opere d'arte). L' art. 4, al n. 1, punisce con le stesse pene previste dall'art. 3 (reclusione da tre mesi a quattro anni e multa da lire 200.000 fino a lire 6.000.000) chiunque, conoscendone la falsità, autentica opere di pittura, scultura o grafica, ovvero oggetti di antichità o di interesse storico od archeologico, contraffatti, alterati o riprodotti.
Il successivo D.Lgs. 29.10.1999 n. 490 (testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali), con l'art. 166, ha abrogato il predetto art. 4, e tutte le altre norme della legge 1062/1971, ad eccezione degli artt. 8, secondo comma, e 9. Ma con l'art. 127 ha riprodotto esattamente la norma abrogata di cui al ripetuto art. 4, punendo con la reclusione da tre mesi a quattro anni e con la multa da lire 200.000 fino a lire 6.000.000, chiunque, conoscendone la falsità, autentica opere di pittura, scultura o grafica, ovvero oggetti di antichità, nonché oggetti di interesse storico od archeologico (lett. c) in relazione alle lett. a) e b) dello stesso art. 127).
E' di tutta evidenza la perfetta continuità normativa tra le due fattispecie penali (con l'unica particolarità che il nuovo testo unico, in conformità della delega conferita con la legge n. 352 dell'8.10.1997, ha provveduto al coordinamento sostanziale della disciplina delle pene accessorie con quella prevista dal codice penale).
Contrariamente alla tesi adombrata dal difensore ricorrente, è altrettanto evidente che tale continuità normativa non è minimamente scalfita dalla sopravvivenza dell'art. 9 della citata legge 1962/1971, il quale si limita a stabilire che nei procedimenti penali relativi ai reati de quibus, il giudice, fino a quando non sia istituito l'albo dei consulenti tecnici in materia di opere d'arte, deve avvalersi di periti indicati dal Ministro per la pubblica istruzione, e, nei casi di opere d'arte moderna e contemporanea, è altresì tenuto ad assumere come testimone l'autore a cui l'opera d'arte sia attribuita o di cui l'opera d'arte rechi la firma. Successivamente, tutto il D.Lgs. 490/1999 è stato abrogato (a far data dal 1.5.2004) dall'art. 184 del D.Lgs. 22.1.2004 n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio). Ma anche in questo caso le norme sono state riproposte nel nuovo testo legislativo; e segnatamente il predetto art. 127 è stato letteralmente riprodotto nell'art. 178 del D.Lgs. 42/2004, che reca anche la stessa rubrica (contraffazione di opere d'arte) e prevede la stessa pena per chiunque commercia, autentica falsamente o accredita opere contraffatte, salvo che la pena pecuniaria è espressa in euro e non più in lire.
..
4 - Nel secondo motivo di ricorso il difensore sostiene altresì che la norma incriminatrice, comunque, non può applicarsi alle opere di Mario Schifano.
E' noto che l'artista è morto il 26.1.1998, mentre sembra pacifico che le opere contraffatte di cui si discute sono state eseguite entro il cinquantennio precedente la commissione del fatto contestato.
A sostegno della sua tesi subordinata il difensore, sia pure con argomentazione generica, menziona la sopravvivenza del menzionato art. 9 della legge 1062/1971, nonché la sentenza n. 37782 del 18.9.2001 della terza sezione di questa Corte, (imp. Patara, rv. 220352), secondo la quale la sanzione penale prevista dall'alt 127 del D.Lgs. 490/1999, (quindi anche quella prevista dalla successiva norma di cui all'art. 178 D.Lgs. 42/2004), non si applica alle opere di autori viventi o la cui esecuzione non risalga a oltre cinquantanni. Questa tesi si basa sulla considerazione che dalla disciplina del Titolo I del D.Lgs. 490/1999, relativo ai beni culturali, che include anche l'art. 127, sono espressamente escluse le opere suddette per effetto della disposizione contenuta nell'art. 2, comma 6, dello stesso decreto.
Ma la sentenza Patara è rimasta isolata, essendo motivatamente contrastata da Cass. Sez. III, n. 22038 del 12.2.22003, Pludwinski, rv.225318, nonché da Cass. Sez. III, n. 26072 del 13.10.3007, Volpini, rv. 237221. Soprattutto, non può essere seguita dopo che la Corte costituzionale, con sentenza n. 173/2002, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 6, e 127 del D.Lgs. 29.10.1999 n. 490, perché basata su una erronea interpretazione delle norme censurate, che appunto escludeva dalla sfera di applicazione della menzionata norma dell'art. 127 le opere di autori viventi o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni.
In buona sostanza, in queste pronunce si dimostra che la disposizione di cui al menzionato art. 2, comma 6, è frutto di un difetto di coordinamento del legislatore delegato, il quale, in forza della delega ricevuta, che era limitata al coordinamento formale e sostanziale delle norme vigenti, poteva e doveva escludere dalla disciplina dei beni culturali le opere di autori viventi o comunque non risalenti ad oltre cinquantanni, giacché tale esclusione era già prevista dall'omologo art. 1, ultimo comma, della precedente legge n. 1089 del 1939, relativa appunto ai beni artistici e culturali; ma non poteva escludere le stesse opere dalla disciplina relativa alla contraffazione delle opere d'arte, giacché una siffatta esclusione non era prevista nella precedente legge 1062/1971 relativa a quest'ultima materia.
Tanto ciò è vero che il successivo D.Lgs. 42/2004, con l'art. 10, comma 5, confermando la esclusione dalla disciplina relativa ai beni culturali delle opere di autori viventi o comunque risalenti a non oltre cinquantanni, ha fatto salve le disposizioni contenute nell'art. 64, relative agli attestati di autenticità e di provenienza, e nell'art. 178, appunto relative alle contraffazioni. Per una più approfondita argomentazione sul punto si rinvia alla citata sentenza Volpini.
D'altronde, è proprio la sopravvivenza del summenzionato art. 9, comma 2, della legge 1062/1971, invocata dal ricorrente, che milita a favore della tesi qui sostenuta, giacché -come ha annotato esattamente il giudice delle leggi - non avrebbe più alcuna ragione continuare a prevedere che il giudice penale debba assumere come testimone l'autore a cui è attribuita l'opera contraffatta se le fattispecie incriminatrici contenute nell'art. 127 non si riferissero anche alle opere di autori viventi.
Va quindi affermato il principio secondo cui le disposizioni di cui all'art. 127 del D.Lgs. 490/1999, relative alla contraffazione delle opere d'arte, si applicano anche alle opere di autori viventi o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquantanni rispetto al reato contestato.
Nel caso di specie, peraltro, il problema non si pone, dovendosi applicare l'art. 178 del D. Lgs. 42/2004, che è fatto salvo dal suddetto art. 10, comma 5, anche con riferimento alle opere di autori viventi o comunque non risalenti oltre il cinquantennio.
5 - Piuttosto le disposizioni contenute nel predetto art. 9 pongono alcuni problemi che vanno esaminati d'ufficio, laddove prevedono che il giudice, fino a quando non è istituito l'albo del consulenti tecnici in materia di opere d'arte, deve avvalersi di periti indicati dal Ministro per la pubblica istruzione (comma 1), e deve altresì assumere come testimone l'autore apparente dell'opera ipoteticamente contraffatta, nel caso che si tratti di opera d'arte contemporanea di autore vivente (comma 2).
Nel caso di specie, non poteva essere assunta la testimonianza del maestro Schifano, essendo questi deceduto nel 1998, mentre non è chiaro se sia stata rispettata la disposizione sulla perizia.
Su quest'ultimo punto, peraltro, questa Corte ha già avuto modo di esprimersi con una sentenza risalente, osservando che la disposizione non è prevista a pena di nullità, sicché il giudice ben può rivolgersi a consulenti di sua fiducia, scelti tra i perito del tribunale (Cass. Sez. II, n. 9924 del 5.5.51981, Broccagni, rv. 150837).
Il principio va condiviso nel senso che:
- sino a quando non è istituito l'albo dei consulenti tecnici in materia di opere d'arte, il giudice deve avvalersi di periti indicati dal Ministero per la pubblica istruzione; - la violazione della norma, però, non configura né una causa di nullità speciale, mancando una specifica sanzione al riguardo, né una causa di nullità generale ai sensi dell'art. 178 c.p.p., giacché la disposizione violata non concerne l'intervento, l'assistenza o la rappresentanza dell'imputato.
6 - Così chiariti i profili di diritto sostanziale e processuale della fattispecie in esame, non c'è dubbio che il ricorso debba essere respinto.
E' infatti manifestamente infondato il primo motivo di ricorso, col quale in sostanza si mette in dubbio l'esattezza delle conclusioni peritali sulla contraffazione delle opere, sostenendo che si trattava invece di opere dei suoi collaboratori, sulle quali il maestro Schifano apponeva la sua firma. Son queste affermazioni ipotetiche, prive di qualsiasi riscontro fattuale, e come tali non possono inficiare il parere argomentato dell'esperto, che il giudice ha fatto proprio con motivazione logica e legittima.
7 - Ai sensi dell'art. 616 c.p.p., al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. Considerato il contenuto del ricorso, non si ritiene di irrogare anche la sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende.
La ricorrente va anche condannata alla rifusione delle spese di parte civile, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
la corte suprema di cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese di parte civile, che liquida nella complessiva somma di 2.000 euro, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 17.1.2008.
Deposito 12/03/2008
23 gennaio 2017 - E il processo per i sette (falsi?) Piero Manzoni si tinge di giallo... Meglio, di nero. Imputato è l’avvocato bresciano Carlo Pelizzari, che il pm Luigi Luzi accusa di ricettazione, messa in commercio di opere d’arte contraffatte e truffa. Il presunto raggirato è J.G., facoltoso commerciante danese appassionato d’arte contemporanea, assistito dall’avvocato Eugenio Losco, che da Pelizzari acquistò - pagandole in blocco 210mila euro - sette opere dell’enfant prodige scomparso trentenne all’inizio degli anni ’60 lasciando i suoi Achrome e la Merda d’artista, i cui lavori originali, oggi, raggiungono quotazioni da capogiro. Al centro della vicenda ci sono loro, quattro Tela grinzata, una Ovatta a rettangoli e due Pacco di carta di giornale, tutte firmate Piero Manzoni ma che, per la Fondazione che porta il suo nome, sarebbero irrimediabilmente false.
Ma ecco il colpo di scena a tinte noir. Nell’aula del tribunale, davanti al giudice Monica Amicone, si sono costituite parte civile (rivendicando la proprietà dei sette lavori) moglie e due figlie di Giovanni Schubert, noto gallerista milanese che sette anni fa venne ucciso, fatto a pezzi e gettato nel Naviglio da un suo giovane collaboratore (poi condannato all’ergastolo), che l’anziana vittima sapeva essersi appropriato di alcuni quadri della galleria per poi rivenderli. Ma perché le eredi Schubert ora rivendicano la proprietà dei sette Manzoni? Perché - dicono - l’avvocato Pelizzari imputato della presunta truffa è, guarda caso, la stessa persona che anni fa aveva conquistato la fiducia di Schubert, uno dei pochi a poter entrare nei locali dove il celebre gallerista custodiva i quadri di sua proprietà.
Locali che, dopo l’omicidio-choc, risultarono misteriosamente quasi vuoti. Ma non è finita. Cinque anni prima di essere barbaramente ucciso, infatti, lo stesso Schubert era rimasto coinvolto (addirittura arrestato, ma poi prosciolto) in un’inchiesta della procura campana di Santa Maria Capua Vetere su un giro di falsi attribuiti a Mario Schifano, altro pratogonista dell’arte contemporanea. In quell’occasione gli investigatori sequestrarono a Schubert opere di vari artisti, compresi due Manzoni che già all’epoca ritennero falsi e che ora sono, insieme agli altri cinque, al centro della vicenda processuale. E allora l’ultimo dubbio che rimane è sul perché gli eredi del gallerista siano entrati nel processo per poter rimettere le mani sulle sette opere di Piero Manzoni ritenute ufficialmente contraffatte. Ma sarà proprio vero che lo sono?
Quotazioni in crescita e aste record per il pittore romanoMario Schifano, morto il 26 gennaio 1998, è uno dei maggiori pittori contemporanei italiani e un maestro dell'arte informale riconosciuto a livello mondiale.
Secondo gli esperti del settore, il valore di mercato delle sue opere è aumentato del 500-600 per cento dal 1995 al 2000, un vero record per l'arte contemporanea.
Un'opera di medie dimensioni (100 centimetri per 85) venduta per 15 milioni nel 1990 da Finarte a Milano, oggi non si troverebbe a meno di 100 milioni.
Nota mia: un 100x85 oggi si compra con 18-25 mila euri, vale a dire, molto meno di quanto si comprava nel 1995.
Due smalti di Schifano, uno del 1961 e uno del 1965, messi in asta da Christie's alla fine dell'anno scorso, sono stati aggiudicati rispettivamente per 127 e 227 milioni.
Archivio Mario Schifano
Sede Borgo Pio 70, Roma
Data di costituzione Anno 2005.
Presidente Monica Schifano.
Sede Borgo Pio 70, Roma
Data di costituzione Anno 2005.
Presidente Monica Schifano.
L'Archivio Mario Schifano è nato per volontà dei legittimi eredi, dopo l'uscita definitiva di Monica Schifano dalla ex Fondazione Mario Schifano nel marzo 2003, con la collaborazione di un gruppo di studiosi scelti per la loro conoscenza profonda dell'opera dell'artista e a lui legati in vita. L'Archivio ha lo scopo di valorizzare l'opera e la memoria dell'artista ed è l'unico organismo legittimato alla tutela e alla gestione dell'immagine e dell'opera di Mario Schifano. Inoltre, l'Archivio detiene il copyright dei film e del materiale artistico. È in corso di preparazione il database contenente l'archivio tecnico scientifico dell'opera completa di Mario Schifano, che sarà consultabile anche online.
Numero opere in archivio Attualmente oltre 1.500. L'Archivio sta provvedendo ad una revisione delle opere per una maggiore trasparenza del mercato.
Fondazione MS Multistudio
Prima della nascita ufficiale dell'Archivio, la tutela dell'opera e del nome dell'artista era gestita dalla Fondazione Mario Schifano, sorta alla sua morte, nel '98. Dopo l'uscita di Monica Schifano, nel marzo 2003, la Fondazione Mario Schifano ha perso la causa contro i legittimi eredi (la moglie e il figlio) e non può più in alcun modo utilizzare il nome dell'artista. L'ex Fondazione Mario Schifano, attualmente Fondazione Ms (Multistudio), (www.fondazionemarioschifano.it), presieduta dall'Avvocato Pierfilippo Capello, non ha però cessato l'attività, e ha in archivio circa 19.000 opere.
Quadri falsi Assolto Safarian
TRENTO.Il giudice Carlo Ancona ha assolto ieri Masoud Safarian, 49 anni, notissimo commerciante di tappeti di origine iraniana ma da decenni residente a Trento e noto per le televendite in tv. L'uomo era accusato di ricettazione per aver ricevuto decine di quadri di noti autori - in particolare Mario Schifano - venduti come autentici, ma in realtà falsi.
L'inchiesta, coordinata dal pm Giuseppe De Benedetto, era partita nel 2000 con un'indagine della guardia di finanza sul commercio di opere d'arte false.
Nella rete degli inquirenti era finito anche Masoud Safarian, al quale nell'ottobre del 2001 erano state sequestrate numerose opere di Mario Schifano (ma non solo) conservate in un caveau. Tutti i quadri avevano il regolare certificato di autenticità. Ieri in aula anche la direttrice del Mart Gabriella Belli ha ribadito che quelle tele sono sicuramente false.
Ma si tratta di falsi eseguiti in modo tanto accurato da risultare difficilissimo per un non esperto rendersene conto. E cosi il giudice Ancona ha ritenuto che lo stesso Safarian sia stato ingannato nell'acquisto dei quadri di un autore come Schifano del quale - per l'alto numero di 'croste" presenti in commercio - risultava complicato accertare l'autenticità delle opere. 2007.
TRENTO. Avrebbe evaso il fisco per circa 100 mila euro l’anno (il capo d’accusa dice 77.468) per due anni e ieri è stato condannato dal giudice ad un anno e sei mesi. Lui è Masoud Safarian, iraniano da tempo trapiantato in trentino dove ha portato con la «Galleria Shiraz» i tappeti persiani. Le verifiche della finanza sono iniziate con un controllo sui registri che avrebbero mostrato delle irregolarità. È quindi partita l’inchiesta che ha riguardato in particolare i conti correnti dell’uomo e della sua socia. E sarebbe da queste verifiche che si sarebbe arrivati alla cifra indicativa dei 100 mila euro di evasione (sia per il 2004 che per il 2005).
Si è quindi arrivati al processo di ieri mattina con Safarian (che risulta irreperibile) come imputato. Il giudice ha deciso per una condanna a 18 mes ma gli avvocati dell’uomo - Cunaccia e Rambaldi - sono già pronti ad impugnare la sentenza. Il denaro che è stato trovato sui conti correnti, infatti, potrebbe non essere frutto dell’evasione ma potrebbe essere arrivato da altri canali come donazioni. 2012.
TRENTO.Il giudice Carlo Ancona ha assolto ieri Masoud Safarian, 49 anni, notissimo commerciante di tappeti di origine iraniana ma da decenni residente a Trento e noto per le televendite in tv. L'uomo era accusato di ricettazione per aver ricevuto decine di quadri di noti autori - in particolare Mario Schifano - venduti come autentici, ma in realtà falsi.
L'inchiesta, coordinata dal pm Giuseppe De Benedetto, era partita nel 2000 con un'indagine della guardia di finanza sul commercio di opere d'arte false.
Nella rete degli inquirenti era finito anche Masoud Safarian, al quale nell'ottobre del 2001 erano state sequestrate numerose opere di Mario Schifano (ma non solo) conservate in un caveau. Tutti i quadri avevano il regolare certificato di autenticità. Ieri in aula anche la direttrice del Mart Gabriella Belli ha ribadito che quelle tele sono sicuramente false.
Ma si tratta di falsi eseguiti in modo tanto accurato da risultare difficilissimo per un non esperto rendersene conto. E cosi il giudice Ancona ha ritenuto che lo stesso Safarian sia stato ingannato nell'acquisto dei quadri di un autore come Schifano del quale - per l'alto numero di 'croste" presenti in commercio - risultava complicato accertare l'autenticità delle opere. 2007.
TRENTO. Avrebbe evaso il fisco per circa 100 mila euro l’anno (il capo d’accusa dice 77.468) per due anni e ieri è stato condannato dal giudice ad un anno e sei mesi. Lui è Masoud Safarian, iraniano da tempo trapiantato in trentino dove ha portato con la «Galleria Shiraz» i tappeti persiani. Le verifiche della finanza sono iniziate con un controllo sui registri che avrebbero mostrato delle irregolarità. È quindi partita l’inchiesta che ha riguardato in particolare i conti correnti dell’uomo e della sua socia. E sarebbe da queste verifiche che si sarebbe arrivati alla cifra indicativa dei 100 mila euro di evasione (sia per il 2004 che per il 2005).
Si è quindi arrivati al processo di ieri mattina con Safarian (che risulta irreperibile) come imputato. Il giudice ha deciso per una condanna a 18 mes ma gli avvocati dell’uomo - Cunaccia e Rambaldi - sono già pronti ad impugnare la sentenza. Il denaro che è stato trovato sui conti correnti, infatti, potrebbe non essere frutto dell’evasione ma potrebbe essere arrivato da altri canali come donazioni. 2012.