Nessuno ne ha saputo nulla, praticamente notizia assolutamente invisibile e trasparente ai media, che al massimo hanno dedicato un articoletto di colore.
Hebborn, era sicuramente un fenomeno artistico che si rapporta ai più grandi talenti pittorici di sempre, in grado di ricreare, in stile tipico e perfetto, dipinti, affreschi, disegni, biacche, guache eccetera, insomma, qualsiasi cosa avesse una forma e dei colori, non importa fatti da chi nel passato, con quali materiali e supporti. Il suo problema tecnico era trovare i supporti antichi, voglio dire, trovare carte estratti da libri originali, stampati nel seicento eccetera, o tele altrettanto antiche, perché questi supporti, non si possono falsificare. Il resto era èer lui un gioco da ragazzi, in possesso di una tecnica quasi medianica, quasi che la sua mano fosse guidata da forze esterne a lui stesso.
Hebborn, era sicuramente un fenomeno artistico che si rapporta ai più grandi talenti pittorici di sempre, in grado di ricreare, in stile tipico e perfetto, dipinti, affreschi, disegni, biacche, guache eccetera, insomma, qualsiasi cosa avesse una forma e dei colori, non importa fatti da chi nel passato, con quali materiali e supporti. Il suo problema tecnico era trovare i supporti antichi, voglio dire, trovare carte estratti da libri originali, stampati nel seicento eccetera, o tele altrettanto antiche, perché questi supporti, non si possono falsificare. Il resto era èer lui un gioco da ragazzi, in possesso di una tecnica quasi medianica, quasi che la sua mano fosse guidata da forze esterne a lui stesso.
Personalità assai complessa, incline ai cambiamenti di umore, eccessi di tipo alcolico, sessuale e insomma, non si faceva mancare una vita agiata, per quanto sradicata, impiantata nei dintorni di Roma.
Chi poteva uccidere in quel modo un simile personaggio, in una sera di pioggia, lasciandolo tramortito in un vicolo romano per molte ore, prima di essere trasportato in ospedale, e lì, ancora lasciato in attesa per altre ore, forse in attesa che smaltisse la sbornia, come d'uso in molti pronto soccorsi capitolini, che si vedono arrivare i soliti barboni e personaggi di strada, specie in orari notturni.
Se ci fosse stato con lui qualcuno che lo avesse subito soccorso, riconoscendolo e sapendo trattarsi di artista britannico e non di un barbone alticcio, forse sarebbe potuto sottoporlo ad intervento chirurgico per ridurre l'ematoma, e terapie adeguate in grado di mantenerlo in vita e superare la fase critica tipica dei traumatismi cerebrali.
Ma fino a qua, si può pensare a una serie di circostanze che hanno giocato a sfavore di Hebborn, l'essere solo, aver bevuto forse qualche bicchiere di vino in attesa di recarsi a cena da una famiglia amica, che lo attendeva, l'aspetto tipico di tanti personaggi tipici, con fisico corpulento, folta barba ispida e incolta, insomma un tipico sbandato che si aggira per le calli romane.
Ma quando si pensa che ad oggi, le indagini mediche hanno concluso per probabile emorragia cerebrale o compressione, conseguente a caduta accidentale da scalini, un fatto che può accadere a un barbone ubriaco su mille in dieci anni.
In Inghilterra e in chi lo conosceva, la convinzione è che qualcuno, in modo rabbioso, impulsivo, l'abbia colpito con un corpo contundente, da un bastone a un martello, e che sia quindi un omicidio la causa della sua morte, sia pure non programmata.
Chi poteva ucciderlo? Si pensa all'ambiente dei ricettatori di arte antica, a qualche conto non regolato, e all'ambiente delle relazioni sessuali di Hebborn, relegato e circoscritto al giro di maschietti omosessuali o di gente pronta a vendersi per comprarsi qualche tirata di coca.
In effetti, la vita di Hebborn lo esponeva a una serie di rischi non indifferenti:
Vita sessuale fatta di incontri occasionali, spesso a pagamento, con ragazzotti che un tempo Pasolini avrebbe chiamato del sottoproletariato delle borgate, che oggi sono indistinguibili da altri.
Attività fatta di creazione di falsi ma non solo, perché Heborn era molto apprezzato anche come creatore o meglio ricreatore di opere nonn esistite, ma nello stile di questo o quell'artista del passato.
Il cameriere filippino non ha saputo fornire indizi di alcuna importanza, ma tanto, indagini non ne sono state compiute, almeno non in un modo completo e dirimente.
Il suo caso (o file, come si dice), resta aperto, almeno in chi crede trattarsi di morte per colpo alla testa o per spinta e caduta provocata.
ERIC IL FALSARIO
Entrando nella casa di Eric Hebborn
l' occhio cade su un piccolo dipinto, una nave a vapore con le ruote sullo sfondo di un cielo che sembra prendere fuoco. Lo devo aver già visto alla Tate Gallery. "Turner?", chiedo con la massima malafede. "Hebborn", risponde lui, "non della migliore annata". Eric è un giovanotto invecchiato sulla sessantina, che gira sempre per casa con un bicchiere di vino bianco gelato in mano. Assomiglia al capitano Haddock, l' amico di Tintin, per chi abbia mai letto questi straordinari fumetti. Anche il naso rosso dalla forma impertinente, che sbuca dalla barba nera, è quello del capitano.
Quando cammina barcolla leggermente. Ma credo che Eric se ne debba fregare altamente del suo stato, perché si deve essere molto divertito, dopo gli anni del riformatorio in Inghilterra. Ha viaggiato, è vissuto dove voleva, soprattutto a Roma, ma anche altrove. Ha lavorato bene, ha fatto molti soldi e poi li ha spesi in baldorie e altre amenità. E tutto questo per merito di un suo talento innato, coltivato e raffinato da una dura pratica: l' arte di rifare i maestri antichi. Il suo libro Troppo bello per essere vero - Autobiografia di un falsario, edito da Neri Pozza (pagg. 384, lire 48.000), uscirà tra qualche giorno.
Quando venne pubblicato in Inghilterra, tre anni fa, successe un fatto curioso. Numerosi musei e gallerie rifiutarono di ammettere che i Pontormo e i Bronzino, ma anche i Piranesi, i Tiepolo e i Corot che tenevano esposti, fossero in realtà degli Hebborn. Solo in un secondo tempo ritirarono con discrezione le opere. "Di sicuro", dice Eric, "c' è ancora un Brueghel al Metropolitan di New York e un Piranesi alla Galleria Nazionale di Copenhagen". Due mesi fa, in un dibattito alla televisione danese, Hebborn ha sostenuto che il Piranesi l' aveva fatto lui e il direttore della Galleria diceva che era impossibile. I falsi di Hebborn sono quasi tutti copie di antichi maestri, con qualche eccezione per Augustus John, il ritrattista molto apprezzato nel mercato inglese e un Hockney casuale. Non ha mai apprezzato l' arte contemporanea, ed è un peccato che per lui la storia dell' arte si sia fermata a Picasso.
Non gli piacciono nemmeno Francis Bacon e Lucian Freud: "Li ho conosciuti, erano dei tipi ameni.
Con John Milton, un magnifico artista, s' inventarono un pittore. Ne parlavano come di una grande scoperta, spargendo la voce in giro. Durante un week-end fecero tutti insieme una ventina di quadri, che esposero pochi giorni più tardi, rivelando lo scherzo solo al momento dell' inaugurazione della mostra.
Il gallerista ci rimase male, invece avrebbe dovuto approfittare. Ma all' epoca Bacon e gli altri non erano così famosi". Anche le crepe erano rifatte Quando era ancora studente alla Royal Academy di Londra, Eric finì nella bottega di un restauratore, un certo Aczel. Qui imparò a conoscere i materiali, a scegliere le carte antiche per i disegni, a rifare le crepe dei dipinti con la punta di un ago su un impasto di bianco di piombo e gesso.
Un giorno da Aczel si presentò un signore di nobile aspetto con una busta gonfia in mano e con una tela olandese del ' 600, assolutamente bianca, montata su un telaio olandese del ' 600 e con un' imprimitura olandese del ' 600, dicendo: "Che ne pensa di questo Van de Velde?". La nave in rada della marina venne dipinta da Eric, il resto da un altro giovane della bottega. "Bisognava vedere come i quadri venivano esposti nelle gallerie dei rispettabili mercanti che avevano dato la commissione ad Aczel. Ambienti sontuosi, cornici dorate, i dipinti sistemati su cavalletti ricoperti di velluto...". "Pico Cellini", lo interrompo, "un famoso restauratore romano, chiamava questa messa in scena ' il tappetino' .
Quello che inganna il cliente, più che il quadro, è ciò che li circonda, la presentazione, la supposta serietà del venditore, la convinzione, indotta, che una simile offerta non gli capiterà più nella sua vita". Eric si mette a ridere, versandosi un altro bicchiere di vino: "Il cliente chiedeva un piccolo sconto, il mercante rispondeva che dipinti di quel livello non capitavano tutti i giorni, che erano in molti a volerlo. Poi faceva: ' Va bene, visto che passa in buone mani: vogliamo dire sterline anziché ghinee?' che era uno sconto inferiore al cinque per cento". Spesso nei falsari, anche o soprattutto nei più bravi, si nascondono dei pittori falliti, con scarse o nulle capacità inventive oltre la grande abilità di esecuzione.
Respinto dal mercato e dai critici, il pittore cerca come una vendetta e gode nel truffare il mercato e nel ridicolizzare gli esperti saccenti (è anche per questa ragione, perché mostrano la paglia dentro il pupazzo, che i falsari sono in genere amati dal vasto pubblico). Ma nel caso di Eric, almeno all' inizio della sua carriera, ci sono pochi originali, improntati ad un certo eclettismo e qualche mostra personale in tempi tardi. Lui ha sempre voluto rifare i maestri antichi, raccogliere soldi in fretta e spenderli ancora più in fretta.
Dopo aver lavorato con Aczel, partì a piedi per l' Italia. Aveva vinto il concorso per la Scuola di Roma, per due o tre mesi vagabondò percorrendo più di trenta chilometri al giorno, visitando musei e gallerie, fermandosi in tutte le trattorie dove c' era vino a buon prezzo, attraversando un paese ancora bellissimo, quando non si facevano le file alle esposizioni nei musei. A Venezia conobbe Peggy Guggenheim, a Roma Anthony Blunt, grande storico di Poussin e del Barocco e grande spia (il quarto uomo dell' Affare Philby: con Blunt diventò poi amico, ingannando simpaticamente anche lui, una storia raccontata nel libro). Tornato da Londra, con un compagno fondò una galleria, la "Pannini Galleries", che vendeva pezzi antichi, tutti dipinti o disegnati da lui. Gli acquirenti erano la Colnaghi, ditta antiquaria famosa di Old Bond Street, la Christie' s, la Sotheby' s. Insomma, il meglio del mercato non solo inglese, ma europeo. Gli esperti ingannati I mercanti si servono degli esperti nella valutazione delle opere, prima dell' acquisto. "Il massimo esperto di Gainsborough si chiamava Ellis Waterhouse, una volta gli mandai il migliore dei miei Gainsborough, chiedendo lumi. Waterhouse mi rispose che si trattava nientedimeno che del disegno preparatorio del capolavoro noto come Ragazzo in Blu. Un altro celebre esperto era James Byam Shaw al quale sottoposi un Corot, fingendo di crederlo un Degas, un modesto trucco nel trucco. E Shaw lo fece comprare alla Colnaghi".
Dietro queste provocazioni, anche pericolose per Eric, perché non sempre tutti gli esperti ci sono cascati, c' è la convinzione che le teorie più diffuse sui falsi - il falsario si tradisce con qualche tratto stilistico personale, il falso è sempre di qualità inferiore all' originale, il falso riflette il gusto dell' epoca cui appartiene, il falso non passa una prova scientifica seria - siano vere spesso, ma non sempre. E che ci sia la possibilità reale di fare una opera "alla maniera di", assolutamente indistinguibile dagli originali. E' una convinzione comune a numerosi falsari (e, se posso esprimere un parere, illusoria) i quali, nel momento in cui lavorano, si "sentono" Corot o Piranesi e credono di operare in modo originale. "Federico Zeri", ricorda Eric, "una volta ha detto davanti ad un mio disegno: ' Credo che sia autentico.
Ma se l' ha fatto Hebborn, è stato diabolico' ". Tutte le responsabilità delle frodi Eric le riversa sui mercanti. Nel libro sono maltrattati e si ripete spesso che mercante e gentiluomo sono due parole in contraddizione. "Ho sempre venduto i dipinti senza mai attribuirli a questo o a quello. Aspettavo che fossero loro a dare l' attribuzione. Ma gli esperti mancano in genere di sensibilità, sanno tutto di un artista, ma non essendo artisti non sanno nulla. Per questo si ingannano. E poi ci guadagnano sopra". "Sì, ma lei li avrebbe potuti aiutare dicendo che erano suoi". Eric fa un gesto molto italiano, ride di nuovo e va a riempirsi il bicchiere. All' inizio degli Anni ' 60 Hebborn trasferì la Pannini a Roma e da allora non si è più mosso dall' Italia, continuando a lavorare "alla maniera di". Aveva affittato una villa ad Anticoli Corrado, dove stava con un suo amico e studi a Roma in Villa Doria Pamphili, quand' era ancora privata e in piazza Mattei, sopra la Fontana delle Tartarughe. Andava a Positano, faceva viaggi in Medio Oriente, cercava di mangiare il meglio possibile.
Non si faceva mancare nulla, e bravo Eric. Nell' epilogo nel libro scrive in modo frettoloso che non disegna più, senza dare molte spiegazioni e di stare preparando un saggio sulle poesie di Michelangelo e altri progetti seriosi. "Ma questo era vero tre o quattro anni fa. Adesso ho ripreso" e mostra un catalogo di splendidi disegni, sempre copie di antichi maestri o "alla maniera di", stavolta chiaramente identificati come suoi, esposti in una recente mostra a Londra dal titolo ironico Le difficoltà dell' attribuzione.
Per gennaio deve dipingere con affreschi di Tiepolo le volte di un arco per una sfilata di modelli di Benetton. Speriamo di non ritrovare tra qualche tempo gli affreschi nelle vetrine degli antiquari.