In alcun modo, credo che l'istruzione livello post-laurea, o qualsiasi formazione per quella materia, possono definire il potenziale di un artista. Ho il privilegio di conoscere e lavorare con diversi artisti che hanno poca o nessuna formazione accademica, e che producono
corpi significativi di lavoro. Il MFA Annual è un'edizione di New Paintings americani che esplora una determinata area di attività all'interno del mondo dell'arte. Non è questo autore di, o di questa pubblicazione, l'intenzione di implica che l'istruzione superiore è necessario per un artista per avere successo.
Steven Zevitas
Se anche uno dei motori di New American Painters inserisce una nota a fondo articolo per precisare che non occorrono percorsi ufficiali di studi in materia di arte, per divenire un artista interessante e anche di successo, la dice lunga sul tono apparentemente enfatico che però pervade l'articolo su Huffington di qualche anno fa.
Considerando che ci sono ormai quasi 200 scuole ufficiali che rilasciano un MFA, e qualcosa come 4000 nuovi diplomati, di cui aggiungo io, almeno il 75% intenzionati a intraprendere o tentare un percorso artistico, mentre i restanti sono interessati ad aspetti di curatela, diritto, storia e il famigerato marketing in campo artistico.
Se scorrete i programmi dei corsi in MFA, e aggiungo, anche quelli delle prioncipali lauree e diplomi di laurea italici, leggerete una serie di materie e insegnamenti tipicamente volti ad impartire al futuro adepto del mondo della produzione dell'arte (si, la chiamano in questo modo), le nozioni volte a farlo smaliziare su come ottenere attenzione e gestire al meglio le risorse a disposizioni per collocarsi nel Sistema (Dell'Arte=SDA).
Insomma, si è aperto un sommesso dibattito, praticamente trascurato dai media mainstream, ma ben presente su alcune riviste specializzate e in alcuni convegni, (e si capisce anche perché), centrato sul come si diventa artisti di successo in particolar modo, ma non solo, e che tipo di arte si produce, e se esistono connessioni tra questi due fenomeni.
In altre parole, il trasformare la produzione artistica in un mercato sempre più capillare, ma comunque selezionatissimo (pensate a quanta gente conoscete che si precipita a mostre o performance, o acquista quadri contemporanei, almeno una persona c'è?), e in parallelo, lo sfornare un numero sempre maggiore di diplomati ufficiali, ha comportato anche che si diventa artisti con un atto di determinazione a presindere da dotazioni famigliari e genetiche, e che si realizza una produzione tendente a speculare sul fenomeno modaiolo, sulle tendenze del momento, per poi sparire in fretta o riconvertirsi una decina di volte in carriera, per restare a galla, come da più parti ormai certificato?
Joyce Ho, tenetela d'occhio, per 4-5 anni sarà la nuova star.
La domanda è retorica perché si è detto, è del tutto evidente che non può essere che in tal senso, perché le dotazioni delle persone sono del tutto innate, anche se possono essere sviluppate.
Un esempio: il fratello di Wahrol è rimasto per tutta la vita, un tranquillo panciuto signore di campagna, dedito a lavori di fabbrica e di terra. E non ci sono dubbi che non si tratta di una natura comunque dotata ma che non ha assunto una deterrminazione (fare l'arte), ma si tratta di una delle 99,9999% delle persone che non sono affatto dotate geneticamente per l'arte.
Ora, e vengo al punto, il fatto che le scuole, l'insegnamento delle tecniche e l'uso dei materiali innovativi, si sia ormai diffuso ai limiti del comprensibile, implica che una quantità di gente che decide o crede di fare o essere dotata per l'arte, sta provocando quei fenomeni di ploretarizzazione del fare artistico, della produzione artistica e dei suoi effetti che sono sotto ai nostri occhi attoniti.
Perché se gente come Invader, girano per le strade con i loro pacchi di stencil e bombolette riempiendo qualche muro o parete pubblica si può ben tollerare, altra cosa è assistere all'apoteosi artistica (sic!)di simile gente, destinata a scomparire tra dieci anni al massimo.
E lo stesso fenomeno riguarda le centinaia di Art Faire, che ormai anche nei paesini più sperduti, magari per catturare qualche soldo dato da Comunità Europea, banche, enti pubblici eccetera, si sbrodolano ormai in tutto il mondo, con un livello quasi sempre al ribasso gtendenziale.
Sulla scia delle varie fiere di chiusura, critico e curatore Christian Viveros-Faune scatenato una caustica e molto articolo passato-around su fiere d'arte e il loro effetto negativo sul tipo di arte in fase di produzione.Ha specificamente mirato ciò che egli chiama Zombie pittura, che egli identifica come una sorta blando e senza denti astrazione che sembra essere di gran moda. (Jerry Saltz è stato batte lo stesso tamburo per un bel po')
Insomma, se la gente che crede di poter fare dell'arte un modo per sopravvivere è in continua crescita, non è in discussione che gli artisti veri, di successo immediato o meno, restano un numero comunque ben delimitato e riconoscibile da chiunque li voglia riconoscere.
Meditate gente.
al
Come non dargli ragione?
Se uno ha meno di 40 anni, lo capirei, ma dopo aver visto tanta roba per un mezzo secolo, vi garantisco che quelki come me e Sgarbi, ne hanno piene le scatole di certi nomi che ogni tanto riemergono dalle loro postazioni.
Ma occorrerebbe anche parlare di quelli che appartengono alla nuova scuola inglese, quei genietti che mettono a punto cannoncini spara colori, ruote gira carte e tele, eccetera, colature di colori con siringhe ecetera.
Che dire; sono varianti di quello che abbiamo già ampiamente visto.
di Vittorio Sgarbi
Come non dargli ragione?
Se uno ha meno di 40 anni, lo capirei, ma dopo aver visto tanta roba per un mezzo secolo, vi garantisco che quelki come me e Sgarbi, ne hanno piene le scatole di certi nomi che ogni tanto riemergono dalle loro postazioni.
Ma occorrerebbe anche parlare di quelli che appartengono alla nuova scuola inglese, quei genietti che mettono a punto cannoncini spara colori, ruote gira carte e tele, eccetera, colature di colori con siringhe ecetera.
Che dire; sono varianti di quello che abbiamo già ampiamente visto.
di Vittorio Sgarbi
Nitsch non fa scandalo, ma compassione
Hermann Nitsch è un sanguinario. Uno che, nei primi anni Sessanta, proponeva, col cosiddetto “Azionismo”, esibizioni a metà strada fra arte e teatro, orge in cui si sguazzava invasati nel sangue animale e si lasciava il segno, evocando ritualità primordiali che destavano scandalo nei perbenisti austriaci (Nitsch è viennese). Hanno avuto un senso, quelle esperienze, legate al loro tempo, contribuendo a introdurre un modo diverso di concepire l’opera d’arte, allora innovativo (la performance, l’happening).
Ma riproporle oggi come se si trattasse di piena avanguardia, e non un déjà vu rimasticato fi no alla nausea, con Nitsch vicino tanto agli ottanta anni come al peso delle bestie che squartava, e gli animalisti a sostituire i perbenisti di una volta, fa tristezza.
È come vedere dimenarsi una spogliarellista decrepita che crede ancora di fare colpo, ignara di essere una parodia di ciò che fu: non è censurabile, ma certo di rispetto ne suscita poco, al massimo compassione.
Eppure, Nitsch viene accolto a Palermo come se la sua macelleria fosse attualità, non archeologia. Dicono che sia arrivato per volontà di un assessore, suo mico personale: tutto uguale, proprio come mezzo secolo fa.
Ma riproporle oggi come se si trattasse di piena avanguardia, e non un déjà vu rimasticato fi no alla nausea, con Nitsch vicino tanto agli ottanta anni come al peso delle bestie che squartava, e gli animalisti a sostituire i perbenisti di una volta, fa tristezza.
È come vedere dimenarsi una spogliarellista decrepita che crede ancora di fare colpo, ignara di essere una parodia di ciò che fu: non è censurabile, ma certo di rispetto ne suscita poco, al massimo compassione.
Eppure, Nitsch viene accolto a Palermo come se la sua macelleria fosse attualità, non archeologia. Dicono che sia arrivato per volontà di un assessore, suo mico personale: tutto uguale, proprio come mezzo secolo fa.