venerdì 17 marzo 2017

Come funzionano le quotazioni d'arte: ce lo racconta Alberto Burri.

Alberto Burri sostiene che da decenni il mercato ha rovinato il mondo dell' arte; i quadri vengono chiamati beni rifugio e sempre più spesso finiscono nelle mani di chi non li capisce.
 E' un mercato drogato, le quotazioni il più delle volte fasulle. Quante aste in America sono state
truccate in questi anni... I giochi sono scoperti: i mercanti più famosi mettono all' incanto un quadro, se lo ricomprano a prezzi enormi, da titolo sui giornali, pagano le spese d' asta. Il gioco è fatto. Risultato: negli occhi della gente rimane la cifra record per questo o quel pittore. Miserie.

Sugli artisti contemporanei, ancora Burri.

E' d' obbligo farne una piccola antologia. Rauschenberg? Faceva delle scatolette surrealiste prima di visitare lo studio Burri di via Margutta, nel 1953. Pollock? C' è ancora chi parla di lui e della sua tecnica come di automatismo. Non sa quel che dice, non sa quanto è difficile non far impastare i colori freschi, stare attenti che una zona del quadro non si riempia troppo e l' altra troppo poco. Frank Stella? Il nulla diventato denaro: un miracolo dei mercanti statunitensi. 
Lichtenstein? E' l' America, il vero rappresentante della sua cultura tutta fumetto. Klee? Bellino, carino, elegantino...
 Lucio Fontana? Il suo primo Taglio arrivò nel 1958, sei anni dopo lo Strappo di Burri esposto nel 52 alla Biennale di Venezia. Fontana comprò il bozzetto di quello Studio per uno strappo e Burri non l' ha mai dimenticato. Dei colleghi italiani, parla con più disagio. 
Guttuso? Pochissimi gli incontri: ogni volta preannunciava delle visite a Città di Castello che poi non faceva mai. Afro? Un amico con cui andare a sparare al piattello in attesa della stagione delle beccacce. Poi, pochi, gli eletti: Francis Bacon (di tutt' altro genere dal suo ma pittore vero), Calder (un grande, un amico), 
De Kooning (poverino sta così male, ha fatto bellissime cose), Mirò (bravo. Ma ha prodotto troppo).
Su tutti gli altri Picasso: il più grande, il più coraggioso, un mostro. E' il suo massimo di benevolenza. Anche verso i critici va giù pesante: come emerge dal catalogo su di lui hanno scritto le migliori firme: da Brandi a Calvesi, da Argan a Quintavalle, da Rubiu a Bonito Oliva, da Attilio Bertolucci a Milton Gendell fino a Barilli e Sgarbi. Verso tutte quelle parole, da quarant' anni ha la stessa posizione: sono chiacchiere, quando va bene letteratura, qualche volta, psicanalisi.