Il mio personale processo creativo non si basa sul dipingere 10 o più ore ogni giorno dell'anno. Sono un artista ma anche uno sperimentatore, quindi
devo cercare di coniugare queste due forme basilari di attività: pratica e ricerca.
devo cercare di coniugare queste due forme basilari di attività: pratica e ricerca.
Per la pratica non c'è molto da dire, chiunque capisce cosa significa in generale e
nel mio caso, nella pittura; prendere materiali e tecniche e applicarli per ottenere un risultato tangibile, un manufatto in pratica.
Come ricercatore di neuroscienze, ho appreso e potete leggerlo in ogni libro di psicobiologia, che il nostro cervello gestisce proprietà e facoltà molto specifiche per ogni nostra attività: nel caso delle arti visive, e della pittura nel mio caso, so che esiste un'area cerebraledeputata alla percezione e riproduzione delle forme, sotto forma di disegno, c'è un'area che gestisce le proporzioni, come ad esempio nelle forme geometriche, c'è un'area che gestisce i volumi, e infine, molto importante per il tipodi arte che faccio, c'è un'area che gestisce i colori.
Siccome queste aree non sempre sono equamente sviluppate, può essere che qualcuno sia molto abile nella gestione dei contorni, altri nelle geometrie, altri ancora nei volumi e infine altri nei soli colori.
Naturalmente, ciascuno di noi, più facilmente presenta un mix di abilità, che in alcuni si può manifestare praticamente in tutte le quattro abilità sopra dette.
Occorre sapere che queste abilità sono in buona parte già presenti alla nascita ma si possono comunque sviluppare con la pratica: è bene sapere anche che la pratica non renderà una persona con scarse abilità nelle forme e contorni a diventare un disegnatore migliore di un'altro più dotato alla nascita.
Detto questo, nel mio caso, so da sempre di essere molto a mio agio con i colori, me la cavo con le forme e contorni, e anche con i volumi, quindi appena posso, prendo in mano dei colori e li appiccico su un qualsiasi supporto e le cose mi sembra che viaggino molto bene, riesco a ottenere i colori che desidero praticamente a colpo d'occhio, senza bisogno di nessuna teoria dei colori, è un fatto primitivo, una abilità innata sia per il colore che per la materia che lo conduce (il medium).
Spero che troviate interessante queste mie confidenze.
E' bene sapere, sui colori, che ciascuno di noi possiede una innata cartella di colori mentale, propriamente si definisce in psicologia TAVOLOZZA PERSONALE, innata e diversa da qualsiasi altra persona. Infatti, se prendiamo delle forme qualsiasi e chiediamo a 100 persone di colorarle a piacere, si vede che vengono fuori 100 lavori, tutti un poco o molto differenti nei colori.
Ora, nel mio modo di lavorare artisticamente, occorre tener presente i medium che veicolano i colori e il supporto su cui i colori e i medium sono applicati; in altre parole il problema dei materiali, supporti, preparazione dei medesimi e tecniche di applicazione dei colori. Questi aspetti coinvolgono più specificamente il secondo punto di cui vi parlavo, quello della ricerca.
La ricerca.
E' una esperienza che viene con il tempo e la pratica, imparare che le differenti supperfici implicano un differente impatto sul modo in cui i colori risaltano e si applicano, penso alle tele, ai cartoni, ai pannelli in PVA, in MDF, alle vere tavole in legno. Ma nella realtà, questi supporti, non differiscono affatto tra loro, se prepariamo la superficie pittorica allo stesso modo. Ad esempio, se stendo una serie di mani di gesso su tavola o PVA o tela, la superficie pittorica di fatto è data da uno stesso componente, ossia il gesso, più o meno spesso.
Allora uno si chiede, cosa realmente fa la differenza? La superficie su cui il medium pittorico viene steso!
A volte si tratta di meno di un millimetro di spessore, altre volte è irregolare e spesso in alcuni punti, meno in altri, secondo effetti che vogliamo dare.
Quindi, il secondo punto che influisce sulla ricerca è la tecnica e i materiali pittorici (medium).
Colare i colori in medium fluidi, è differente da stenderli con palette o pennelli, e ci sono molte varianti, non posso qui farne una disquisizione perché sarebbe troppo lungo e questo è solo un articolo di un blog, non un trattato di tecnica pittorica!
Nella mia non breve vita, ho avuto modo di rompere le scatole, si, letteralmente, a tre artisti che adoravo e volevo assolutamente conoscere e con caparbietà, dopo una serie di scorni, sono riuscito a incontrare e a parlare con loro: Soulage (per me il vivente più grande al mondo), Mathieu e Burri, tutti incontrati in Francia, a pochedecine di chilometri l'uno dall'altro, perché abitavano e lavoravano nemmeno lontani dalla nostra Liguria.
Soulage mi fece vedere, un onore per me, allora avevo sui 45 anni, come lavorava le sue tavole, impregnando di denso colore nero industriale, quello delle barche per capirci, la superfice e poi facendoci scivolare sopra delle valanghe di sabbia, una sabbia molto particolare, grossa e pastosa, che era molto brillante.
Poi scuoteva il residuo e aspettava che asciugasse, per poi passare sopra altro nero e nuances particolari. Il risultato è quello splendido che conosciamo, questi enormi pannelli di due metri, con un nero profondo, quasi inquietante.
Spiego questa sua tecnica perché voglio dire che se uno non segue quella sua modalità di realizzarla e quei tipi di medium, non otterrebbe un effetto simile, garantisco, ho provato con sabbia, quarzo, colori acrilici e niente di niente.
Non parlerò di Mathieu e Burri, ma costoro sono ben noti per uso di tecniche e materiali del tutto innovativi.
Ora, questi artisti, sono storici, hanno fatto parte di una avanguardia negli anni fine cinquanta e sessanta, dopo sono stati superati da altri nomi e forme: naturalmente la loro importanza è tale da essere dentro qualsiasi manuale di arte del novecento, ovvio.
Tutti e tre dichiaravano che la pop art era una forma di arte per signorine, dove si usavano i soliti simboli e marchi come un qualsiasi prodotto, dove si riproducevano immagini del tutto convenzionali, appiattite e senza personalità.
Non meno pesante era la loro mancanza di rispetto per la concettuale, in cui ad esempio, si metteva in una galleria (celebre alla famosa La Salita di Roma),
R. Serra, Animal Habitat 1961 La Salita-Roma
un maialino con la sua gabbia porcilaia, e siamo nel 1961, credo, ben prima dei famosi cavalli di Kunellis del '69.
R. Serra, Animal Habitat 1961 La Salita-Roma
un maialino con la sua gabbia porcilaia, e siamo nel 1961, credo, ben prima dei famosi cavalli di Kunellis del '69.
Burri mi diceva che qui in Francia, nel nord, Parigi e dintorni, dieci anni prima che si parlasse di Arte Povera, c'era gente che si rabattava nelle discariche e sfattini della zona, per realizzare sculture con fascioni di pneumatici e ruote sfasciate di bicicletta, vecchi giocattoli di plastica nonché sparare con fucilate a dei palloncini carichi di colore che finiva sopra i medesimi.
Oggi, posso dire che in Inghilterra, i Giovani Artisti, usano tecnologie più sofisticate ma il concetto è lo stesso: ad esempio prendere dei cannoncini ad aria e sparare capsule di colore su tavole, far girare su dei dischi, delle tele e far cadere sopra dei colori e sottoporli a soffio d'aria, eccetera.
Tutta roba che Burri, Mathieu e Soulage mi hanno detto aver fatto e visto fare alla fine dei cinquanta e inizio sessanta.
Dove sta la differenza allora? Ad esempio nel tipo di medium dei pigmenti: i Giovani Artisti Britannici usano spesso medium luminescenti, perlescenti e neonescenti, che allora non esistevano, ma di fatto, quanto all'idea non c'è una vera novità.
Pensiamo allo squalo da 12 milioni di dollari, l'enorme squalo in naftalina (formaldeide): non è come portare in galleria delle gabbie di maialini o dei cavalli, già viste nel 1960 e 1969?
Insomma, cosa voglio dire? che parlare di ricerca in pittura non è così facile; fare realmente una innovazione, una novità sia in campo dei medium che delle tecniche è direi una cosa del tutto impossibile o quasi.
Quindi, e concludo, la ricerca per me significa sperimentare delle variazioni nei limiti di quanto è già noto e adattarle al mio contesto personale.
In effetti, assodato che in pittura, praticamente tutto è stato già fatto, come si diceva negli anni sessanta e settanta, resta il fatto che la pittura non scompare nè scomparirà almeno per molti decenni, quindi mettiamoci l'animo in pace, nel senso che lavoriamo sapendo che possiamo solo cercare una nostra dimensione personale e autentica, frutto di spontaneità gestuale e di forma e metodi.
Un ultimissimo appunto, su cui magari ritornerò un altra volta: quando considero finito un lavoro? Per gli informali come me, la domanda è carica di inquietudine e incertezza, in quanto mancano dei concreti punti di riferimento come nel ritratto, un volto o è finito o non lo è, ma nel mio caso, quando posso dire di aver veramente terminato un quadro? Posso dire che a volte questa domanda trova una netta risposta affermativa, il lavoro per me è finito, non ho dubbi, ma più spesso lascio il quadro a decantare a volte per intere settimane, a volte anche mesi, prima di dirmi che il quadro è fiinito oppure che devo riprenderlo in mano.
E' un aspetto di angoscia tipico dell'informale, in cui i punti di riferimento sono solamente all'interno della proiezione artistica dell'autore e nemmeno lui può stabilire con semplicità quando e perché un lavoro ha un termine. Fine
Vi metto uno dei miei ultimi lavori, ancora presso di me (la foto purtroppo non è il mio forte).
Saluti.