Il documentario che vi metto sotto, ora in italiano, è la storia della nascita di un artista, se vogliamo dire,
Thierry Guetta, che da oscuro imprenditore che viveva di affaretti trasferitosi in quel di Los Angeles con la famiglia, inizia a filmare un cugino francese, noto come Space Invader, e da questi poi conosce e filma altri graffitari, fino a Banksy, che alla fine gli suggerisce di fare anche lui dei graffiti.
Thierry Guetta, che da oscuro imprenditore che viveva di affaretti trasferitosi in quel di Los Angeles con la famiglia, inizia a filmare un cugino francese, noto come Space Invader, e da questi poi conosce e filma altri graffitari, fino a Banksy, che alla fine gli suggerisce di fare anche lui dei graffiti.
Prendi qualche lista di nomi e manda delle mail, invita gente a prendere qualche bicchiere di vino e metti qualche lavoro tuo alle pareti.
Da qui, Thierry vende tutto e assume decine di persone e si butta in un progetto di fare una mostra colossale, con centinaia di lavori (eseguiti da altri al fotoshop), migliaia di multipli eccetera; inizia partendo da dove tutti gli altri sono arrivati dopo dieci o venti anni passati a incollare graffiti sui muri delle strade.
Questo ci fa capire alcune cose sulla società americana, ma anche sul mondo dell'arte, dove le gallerie e i mercanti d'arte sono completamente inesistenti, tutto è fatto in proprio con propri mezzi finanziari e materiali.
Banksy, sempre a Los Angeles, il regno del mercato auto costruito della Street Art di lusso, nel 2006 credo, arriva (tramite i suoi collaboratori), in uno spazio affittato, espone molti lavori su cartoni e materiali vari, il tutto condito con un elefante tutto colorato, provocando la protesta degli animalisti.
Il povero animale è stato fatto viaggiare da una parte all'altra per essere infilato nei vari consessi espositivi di Banksy.
Banksy, sempre a Los Angeles, il regno del mercato auto costruito della Street Art di lusso, nel 2006 credo, arriva (tramite i suoi collaboratori), in uno spazio affittato, espone molti lavori su cartoni e materiali vari, il tutto condito con un elefante tutto colorato, provocando la protesta degli animalisti.
Il povero animale è stato fatto viaggiare da una parte all'altra per essere infilato nei vari consessi espositivi di Banksy.
I prezzi dei lavori di Banksy sono stati venduti molto bene, su una media di 6-20 mila dollari, e dai 200 ai 400 dollari per le fotocopie.
E' vero che eravamo in periodi ancora di vacche grasse ma per il pubblico dei collezionisti americani, non cambia molto, e i lavori hanno prezzi in costante ascesa.
Quello che mi ha colpito sia con piacere ma anche con dispiacere, da una parte la completa eliminazione di intermediari e mercanti vari: tutti sono acquirenti, un pezzo costa tot, se ne compri 10, sommi i singoli prezzi e fai il totale, non ci sono sconti o favoriti. Dall'altro lato, il fatto di ricorrere all'elefante mi lascia un poco di amaro in bocca.
So che l'elefante non serviva, lo so perché altre esibizioni in spazi autogestiti di Banksy e Obey erano delle normali pareti con appesi lavori bidimensionali e qualche installazione e lavori in 3D, e non per questo non hanno avuto successo, tutt'altro. Ma questo ci dice qualcosa sull'uomo Bansy e sul fenomeno commerciale Street Art.
E' anche vero, che ho avuto una lunga chiacchierata con skypé con Obey, per me il più puro dei più noti, e alla mia domanda se avesse mai ricevuto proposte di fare mostre in gallerie, mi diceva-
-solo una volta, una piccola galleria di NY, molti anni fa ormai, ma ho risposto no, perché come avrai capito la Street Art, come la chiamano oggi, io mi sono sempre reputato un writer, nasce nei luoghi reali: può anche dare mostra e performance in spazi appositamente destinati, ma a condizione che siano gestiti direttamente da noi, meglio se in gruppo.
E' lo stesso fenomeno delle collettive di artisti, che si appropriano di uno spazio comune e ci lavorano e espongono al contempo.
Nel mio caso, siccome nel tempo sono stato sempre più conosciuto, da tempo riesco a vendere i miei cartoni e carte con una certa facilità.
In ogni caso, come hai capito, non sono disposto a vendere in gallerie ma è anche vero che le galleriste non si spellano le mani a telefonarmi.
Non si danno da fare anche perché sanno che tutti voi non accettate il loro sistema, no?
Si, certamente, ma credo che ci sia anche un rifiuto voluto, come dire, nascete nella merda e restatevene là, non abbiamo bisogno di voi.
Io credo che alcuni di voi finiranno inevitabilmente al Moma o roba simile, perché siete comunque un pezzo di storia dell'arte di fine '900 e dei primi decenni del millennio.
Lo penso anch'io, ma se devo dirtela tutta, la cosa mi lascia del tutto indifferente.
Mi fai venire in mente, al tempo in cui volevamo fare i rivoluzionari, che c'era una parte di noi che chiamavamo <situazionisti>, una corrente sociologica e politica che vedeva la collocazione delle nostre azioni e pensieri nel momento presente, e solo in quello. Non c'era un sistema di valori realmente fisso, tipo comunismo o altra roba, il punto era che i nostri atti si collocano in un momento presente e solo questa consapevolezza è importante, il resto è teoria.
Tu cosa ne pensi, credi che si possa considerare la StArt come un fenomeno situazionista?
Credo di si, in fondo, tutte le idee che hai in testa le devi tradurre concretamente in pochi attimi, quelli in cui ti arrampichi da qualche parte e premi le bombolette e poi dai un'occhiata e te ne vai, senza fare foto o video o altro. Domani è un altro giorno capisci? Tutto è uguale ma tutto cambia, il contesto, il tipo di lavoro che decidi di fare e simili.
C'è un ultimo punto che volevo discutere con te: molti writers sono indubbiamente ottimi disegnatori e notevoli fumettisti, comics makers; mi sembra che a volte alcuni siano troppo ripetitivi o che ricalchino con parodie e decontestualizzazioni, il lavoro di alcuni comics creators.
Mah, non saprei, in effetti, io sono partito avendo in testa alcuni fumetti, ho iniziato a copiarli e poi ho capito che potevo andare da solo, in un mio stile, e con il tempo ho appreso a fonderlo con le tecniche di stampa e glicée, ma sempre senza esagerare.
C'è chi acquista dei grossi e costosissimi super plotter a 12 ugelli, per sfornare dal photoshop direttamente i suoi lavori, belli e pronti, nel numero di copie che desidera. Io non mi sento di buttarmi nella serialità; voglio dire, mi piace mettermi a lavorare su qualcosa che so che sarà un unico elemento, finito e appunto unico. Magari sarà dopo poco lavato da un muro, ma lo spirito è questo. Chiaro che il lavoro lo tratto al photoshop, ne faccio delle piccole stampe in B&W, me le porto dietro e le copio sui muri o pareti.
Non tendo a preparare stencils, ma è solo un mio modo di lavorare. Se fosse per me, mi basterebbe una molotow nera e basta, ma ormai ho deciso di usare anche colori, perché altrimenti diventi monotono e ti stanchi.
Ti abbraccio.
In ogni caso, Brainwash non gode più da allora della stima dei graffitari che l'hanno aiutato, compreso Banksy, su tutti, e su Obey, da lui copiato.
Prima di lasciarvi al documentario, vi dico che alcuni graffitari e writers sono realmente degli ottimi artisti, anche se devo dire che a volte i temi e gli stili non mi piacciono, ma è una questione di gusto personale.
Alcuni sono ottimi disegnatori, altri anche pittori, ma resta il fatto che l'attività di graffitaro è una scelta individuale, un modo di condividere solo con un ristretto gruppo di altri artisti, le proprie concezioni sul mondo e sull'arte. In particolare, i graffitari da quando Banksy è divenuto famoso, fanno anche eventi ed esposizioni, ma sempre saltando puntualmente il sistema dell'arte, cioè le gallerie e intermediari vari. Espongono in proprio, pagano gli spazi, e incassano direttamente i denari delle vendite (tramite i loro rappresentanti di fiducia, cioè amici e colleghi).
Napal Naps, storico writer romano, su cos’è la street-art la risposta è (da Il Manifesto)
Allora ormai sono 30 anni che dipingo in strada e sono stato testimone in prima persona del evoluzione dell’arte urbana, dobbiamo avere chiaro in mente che le persone che dipingono graffiti e anche muralisti che si esprimevano in strada esistono in Italia dagli anni 70\80 nessuno ha mai dato credito a loro di nulla, il fenomeno della street art è consistito nelle nuove generazioni che hanno deciso per scelta propria di entrare in un retaggio commerciale fatto di gallerie, curatori, critici e mercato quindi una volta fatta questa scelta risulta diciamo poco credibile poi professarsi contro il mercato dell’arte e la sua speculazione, gli artisti che dipingevano prima in strada non dovevano fare eventi eclatanti per andare contro questi speculatori semplicemente per scelta non ne facevano parte. Stai tranquillo che se semplicemente dipingi in strada e non cerchi le gallerie o la fama nessuno verrà a cercarti, non sono contro la street art però diciamo mi manca la sobrietà con cui tutto veniva affrontato prima.
Una nota su Banksy e il sistema diciamo della Street Art.I graffitari esistono come singoli o in gruppetti, dalla metà dei settanta e solo per un certo modo di fare le cose, molto vicino a quello di un supermarket, o un outlet di arte di finta strada, o se volete ai guerilla market, quei sistemi in cui si prendono in affitto degli spazi, si riempiono con una categoria di merce, magari presa a prezzi di fallimento, e la si vende con una apertura limitata a pochi giorni, dandone avviso con manifestini e volantini.
In inghilterra esistono validi graffitari, da molti anni, almeno pari a Banksy sia come tecnica, come idee e per il gruppo che li forma. Uno di questi era Robbo, o King Robbo o Team Robbo, come si firmava e si faceva chiamare il suo gruppo.
Solamente che Robbo non ha mai voluto scendere sul piano del mercato, dell'outlet, della falsa galleria o del mercante di falsa grafiteria.
Robbo aka John Robertson, è stato uno dei graffitari di seconda generazione, come Banksy, che ha formato un Team allargato a una decina di persone, in grado di fornire i supporti per le sue realizzazioni.
Non ha mai fatto mostre o eventi né di persona né tramite amici, non ha cercato di fare soldi veramente, né è stato mai cercato da gallerie o mercanti d'arte.
Quelli che conoscevano i suoi lavori erano solo le genti che passavano lungo certe strade, sotto i ponti, nelle periferie, su muri e pareti. Insomma il vero modo di essere un writer.
Si è saputo di lui solo qualche anno fa, quando Channel 4 ha mandato in onda un docu sulla presunta e in parte vera sfida tra Banksy Vsop Robbo. Una sfida solo sul terreno dei writers, non nelle gallerie e outlet.
Nel docu, si parla anche di Blek Le Rat, il primo writer francese, ad aver usato gli stencils nel 1981, e dipingendo spesso dei ratti come suo segno distintivo.
Non faticherete a riconoscere molti dei lavori di Banksy del tutto simili a quelli di Blek con location non Parigi ma Londra e a partire da metà anni '90.
Insomma, Banksy dice che si accorge a posteriori che molte cose le aveva fatte venti anni prima Blek, ma ci vuole dire di non saperlo? E' proprio un'anima candida.Blek poi fa un uso di vere e proprie rappresentazioni politico-sociali già a partire da metà anni ottanta, in pieno fenomeno Keit Haring.
Ma Banksy e i suoi ragazzi non hanno da temere, Robbo non venderà mai, mentre Blek è un tipo tranquillo, con poche velleità commerciali. Ma sia chiaro, Banksy è un valido artista, solo che non è meglio di altri tre o quattro veri genietti, è uno dei migliori, tuutto qui.
Blek Le Rat, La Seine, 1982
?
Il titolo del film suona così: uscire tramite la porta del negozio di oggettistica.