Quando sono passato dalla realtà all'astratto e informale ormai 30 anni fa, possedevo poche conoscenze
teoriche e culturali in merito.Oggi ne possiedo molte di più, sia teoriche che soprattutto pratiche, avendo sperimentato decine e decine di materiali, supporti, metodiche e tecniche differenti nell'arco di un quarto di secolo.
Intanto, una prima differenza tra astratto e informale.
Il concetto di astratto si è evoluto per primo, con i russi trapiantati a Parigi, e riguardava il criterio di sintesi con o senza colori della realtà o forma oggettiva: in altre parole, esistono vari gradi di astrazione dall'oggetto reale, fino al punto in cui l'astrazione non è più una sintesi, come veniva concepita agli inizi, ma può divenire una forma del tutto priva di delimitazioni contestuali, in cui lo spazio finito è occupato da segni e gesti, colori e azioni che non mimano o richiamano alcun contesto reale o immaginario.
Questa ultima condizione è stata chiamata giustamente arte informale, nel senso che le forme della composizione, non sono affatto relate ad oggetti e a condizioni spaziali e temporali date.
Questa denominazione la dobbiamo ai francesi, ricordiamoci che al tempo, siamo a metà anni trenta, il centro motore del mondo dell'arte era Parigi, e solo a partire dalla metà degli anni quaranta, inizierà a spostarsi a New York, dove nel frattempo, a fine anni trenta, si era creata l'associazione degli artisti astratti, la potete trovare su internet.
Poi, come conseguenza degli esiti della guerra, che delle condizioni economiche, il centro motore della finanza mondiale e quindi anche trainante per le arti, si è spostato definitivamente a New York, ma dobbiamo ricordare che gli insegnanti, i docenti e gli artisti più innovativi e capiscuola, erano tutti, senza eccezione, fino a inizio 1950, nati e formati in Europa, poi trasferiti in America per sfuggire alla guerra o per trovare nuove opportunità (vedi il caso di Mondrian, esemplare).
Al punto che ancora oggi, sono personalmente convinto che con due o tre eccezioni, tutto quello che è stato creato in America dagli anni trenta (modernismo), fino a tutti i sessanta, inclusa in parte la Pop Art, è praticamente una derivazione di modelli originali, creati in Europa.
Con la Pop Art, che in Inghilterra ha una sua coscienza di sé a partire dalla metà del 1950, gli Americani trovano realmente la loro strada del tutto autonoma e realmente esaltazione e rappresentazione di aspetti della società americana, del tutto differenti da quelli europei.
Inizia quindi una prima generazione di artisti nuovi, quelli della oggettualità della Pop Art, che fanno il paio con un drappello primitivo in Inghilterra, dove ricordo le riunioni a casa di Pauline Boty, sicuramente la prima unica e grande donna della Pop, purtroppo deceduta giovanissima, con i suoi lavori di collage chiusi dentro delle valige e casse, e lì rimasti per decenni, fino alla loro riscoperta in questi ultimi anni.
Ma l'informale, portato avanti dai francesi, trova proprio in America una sua prima affermazione con artisti quasi coetanei di Pollock, valga su tutti Paul Jenkins, che introduce a fine anni sessanta, un sistema di applicazione dei colori sulla tela non con le gocciolature ma con delle vere e proprie lavature, quasi dei lavori di tinteggiature per scorrimento della pittura, che apportano una tecnica nuova e risultati che aprono nuovo sviluppo alla pittura informale, giunti fino a noi, con molte modifiche.
In pratica Jenkins, scomparso solo da pochi anni, fletteva la tela su di un cavalletto, e faceva scorrere sopra delle colate di vernici, cercando di controllare il fenomeno con opportuni movimenti della tela e lasciando poi defluire il colore in canaline per recuperarlo.
Vi assicuro che da inizio anni settanta, Jenkins era uno dei nomi più grandi del mondo dell'arte, e sia chiaro, lo resta, per quanto non sia mai stato uno speculativo, lavorava su grandi tele ma non mettendole a terra, e spargendo il colore con granate e scope, ma colandolo sopra sulla tela inclinata in verticale. Questo permette di creare colori e interferenze del tutto particolati e mai visti prima.
Se qualcuno ha una bella cifra da spendere, non si lasci scappare un'asta importante, ne vale la pena, non solo per l'attuale storia dell'arte, ma anche perché i valori sono bassissimi, in confronto a quelli della Pop, la cui moda è continua da praticamente cinquant'anni, con fenomeni di speculazione colossali.
Per ritornare al punto iniziale, all'inizio e per i primi tre-quattro anni, lasciavo muovere la mano liberamente, agguantando i colori quasi a caso, guidato solo da una innata forza creativa, così pensavo.
teoriche e culturali in merito.Oggi ne possiedo molte di più, sia teoriche che soprattutto pratiche, avendo sperimentato decine e decine di materiali, supporti, metodiche e tecniche differenti nell'arco di un quarto di secolo.
Intanto, una prima differenza tra astratto e informale.
Il concetto di astratto si è evoluto per primo, con i russi trapiantati a Parigi, e riguardava il criterio di sintesi con o senza colori della realtà o forma oggettiva: in altre parole, esistono vari gradi di astrazione dall'oggetto reale, fino al punto in cui l'astrazione non è più una sintesi, come veniva concepita agli inizi, ma può divenire una forma del tutto priva di delimitazioni contestuali, in cui lo spazio finito è occupato da segni e gesti, colori e azioni che non mimano o richiamano alcun contesto reale o immaginario.
Questa ultima condizione è stata chiamata giustamente arte informale, nel senso che le forme della composizione, non sono affatto relate ad oggetti e a condizioni spaziali e temporali date.
Questa denominazione la dobbiamo ai francesi, ricordiamoci che al tempo, siamo a metà anni trenta, il centro motore del mondo dell'arte era Parigi, e solo a partire dalla metà degli anni quaranta, inizierà a spostarsi a New York, dove nel frattempo, a fine anni trenta, si era creata l'associazione degli artisti astratti, la potete trovare su internet.
Poi, come conseguenza degli esiti della guerra, che delle condizioni economiche, il centro motore della finanza mondiale e quindi anche trainante per le arti, si è spostato definitivamente a New York, ma dobbiamo ricordare che gli insegnanti, i docenti e gli artisti più innovativi e capiscuola, erano tutti, senza eccezione, fino a inizio 1950, nati e formati in Europa, poi trasferiti in America per sfuggire alla guerra o per trovare nuove opportunità (vedi il caso di Mondrian, esemplare).
Al punto che ancora oggi, sono personalmente convinto che con due o tre eccezioni, tutto quello che è stato creato in America dagli anni trenta (modernismo), fino a tutti i sessanta, inclusa in parte la Pop Art, è praticamente una derivazione di modelli originali, creati in Europa.
Con la Pop Art, che in Inghilterra ha una sua coscienza di sé a partire dalla metà del 1950, gli Americani trovano realmente la loro strada del tutto autonoma e realmente esaltazione e rappresentazione di aspetti della società americana, del tutto differenti da quelli europei.
Inizia quindi una prima generazione di artisti nuovi, quelli della oggettualità della Pop Art, che fanno il paio con un drappello primitivo in Inghilterra, dove ricordo le riunioni a casa di Pauline Boty, sicuramente la prima unica e grande donna della Pop, purtroppo deceduta giovanissima, con i suoi lavori di collage chiusi dentro delle valige e casse, e lì rimasti per decenni, fino alla loro riscoperta in questi ultimi anni.
Ma l'informale, portato avanti dai francesi, trova proprio in America una sua prima affermazione con artisti quasi coetanei di Pollock, valga su tutti Paul Jenkins, che introduce a fine anni sessanta, un sistema di applicazione dei colori sulla tela non con le gocciolature ma con delle vere e proprie lavature, quasi dei lavori di tinteggiature per scorrimento della pittura, che apportano una tecnica nuova e risultati che aprono nuovo sviluppo alla pittura informale, giunti fino a noi, con molte modifiche.
In pratica Jenkins, scomparso solo da pochi anni, fletteva la tela su di un cavalletto, e faceva scorrere sopra delle colate di vernici, cercando di controllare il fenomeno con opportuni movimenti della tela e lasciando poi defluire il colore in canaline per recuperarlo.
Vi assicuro che da inizio anni settanta, Jenkins era uno dei nomi più grandi del mondo dell'arte, e sia chiaro, lo resta, per quanto non sia mai stato uno speculativo, lavorava su grandi tele ma non mettendole a terra, e spargendo il colore con granate e scope, ma colandolo sopra sulla tela inclinata in verticale. Questo permette di creare colori e interferenze del tutto particolati e mai visti prima.
Se qualcuno ha una bella cifra da spendere, non si lasci scappare un'asta importante, ne vale la pena, non solo per l'attuale storia dell'arte, ma anche perché i valori sono bassissimi, in confronto a quelli della Pop, la cui moda è continua da praticamente cinquant'anni, con fenomeni di speculazione colossali.
Per ritornare al punto iniziale, all'inizio e per i primi tre-quattro anni, lasciavo muovere la mano liberamente, agguantando i colori quasi a caso, guidato solo da una innata forza creativa, così pensavo.
Era una forma di astrattismo ingenuo, superficiale e spontaneo, che se sul momento mi sembrava appagante, dopo alcuni anni, ha iniziato a sembrarmi sempre più scarso di idee e progettualità, mi sembrava che mancasse di una prospettiva di evoluzione e crescita (e lo è, anche pensando ad alcuni neo astrattisti nostrani, che ripercorrono le stesse forme, tecniche e risultati di artisti ormai scomparsi da poco, che hanno fatto la storia dell'astrattismo italico e francese recente).
Non volevo rifare quello che avevo visto con i colori fatto da Mathieu, Soulage e altri, da decenni, quando erano innovatori e in testa al mondo dell'arte, almeno
per l'astrattismo. E' anche vero che però dovevo prima comprendere e sperimentare le tecniche di questi e altri artisti che mi precedevano di una generazione, e poi da quel punto, cercare di trovare la mia personale tecnica e rappresentazione.
Non volevo rifare quello che avevo visto con i colori fatto da Mathieu, Soulage e altri, da decenni, quando erano innovatori e in testa al mondo dell'arte, almeno
per l'astrattismo. E' anche vero che però dovevo prima comprendere e sperimentare le tecniche di questi e altri artisti che mi precedevano di una generazione, e poi da quel punto, cercare di trovare la mia personale tecnica e rappresentazione.
D'altra parte, discorrendo con Burri e Mathieu, poi con Soulage, mi rendevo conto della loro tremenda convinzione e passione, ma anche di quanto c'era stato studio e continua applicazione: Soulage mi mostrò decine di fogli pieni di schizzi, forme e colori piani, e credo che anche gli altri ne avessero in quantità.
Scendo a New York e finalmente incontro qualcuno della vecchia guardia, forse un nome poco conosciuto ma vi assicuro che è una figura molto considerata e che gode di un credito artistico illimitato: Joe Stefanelli.
E' vecchietto ma ancora in salute, vispo e fresco, mi parla volentieri dei bei tempi e di tutta quella gioventù piena di speranze e di problemi da risolvere.
Si trattava della prima generazione di astrattisti tutta made in usa, ma che partiva da due centri di insegnamento, forse 3: Hans Hoffman, un maestro giapponese, e più tardi Albers. Insomma, a insegnare alla Students League c'erano insegnanti presi freschi freschi dalla vecchia Europa e dal Giappone. Quindi con un retroterra di espressionismo tedesco post cubista e di arte del segno monocromatico nipponica, l'astrazione per eccellenza, cui si univano pochi surrealisti, poi passati presto all'astrattismo.
Si iniziò a tratteggiare forme semi geometriche a imitazione della natura, per quanto con notevoli elementi di astrazione e ancora oggi, molta di quella roba è presente in sculture e roba simile, sai tipo grosse conchiglie, forme tipo foglie, ma in contesto astratto, non rappresentazionale... (biomorfismo, ndr).
Il punto era di restare dentro un contesto bidimensionale e senza punti di fuga prospettici, insomma, si tiravano righe, punti e linee, senza fare caso a come stavano assieme.
Tutto poi cominciò a cambiare, forse senza una base teorica, con l'uso del colore, in particolare accoppiando colori primari in certo modo, oppure usare delle scalature di colori, fino alla teorizzazione di Hoffman, però arrivata solo più tardi, che va sotto il nome di Push-Off, letteralmente tira e lascia, che qui va tradotto come controfase, insomma un gioco di colori freddi e poi affiancati da colori caldi, che provocano quel senso di scalatura , in cui i colori freddi sono percepiti come più lontani e viceversa.
Insomma, non lo sapevamo a livello teorico, ma sapevamo che utilizzando linee più spesse e più leggere, si creavano effetti di Pull-.Off a scalatura, lasciando tutto nelle più piatte due dimensioni del foglio.
Devo pensarci bene, gli dissi meditabondo. Non ti preoccupare, come noi, anche per te vale la stessa regola dell'occhio, lo fai senza saperlo, mi rassicurò.
E per Pollock, chiesi?
Beh, per lui il problema era diverso: intanto lui mandò a far in culo Hoffmane tutta la sua scuola, e per lui il problema era comunque lo stesso, ovvero sovrapporre colate di colori in modo che si mischiassero ma senza impiallacciarsi troppo l'una sull'altra.
Che vuoi dire?
Che il lavoro di Pollock non era così primitivo e automatico come sembra, in realtà lui ci ha studiato sopra molto e poi ha provato e riprovato per giorni interi, fino a trovare i colori giusti, le temperature dico (Hue) e anche le differenti liquidità, o densità, fluidità, in modo che come ti ho detto non si impasticciassero gli strati, come in un hot dog, hai presente? Puoi mettere una fetta di salame, poi una di formaggio, poi dell'insalata e tutto deve essere uno strato apparentemente unico ma in realtà sono sempre separati, capisci?
Si, credo, almeno come concetto ma non avendo mai utilizzato le colature non ne ho alcuna pratica e quindi capisco solo con la testa.
Risata...
Senti, ma te che fai parte della gloriosa prima generazione di astrattisti, sai dirmi perché tutto si è poi concentrato su quei 5-6 nomi, quando in realtà eravate una ventina, tutti dotati di grande talento e con carriere lunghe e fruttuose?
E' stato un fatto di opportunità e di mercato, come dicono. Nel senso che quei 3-4 nomi sono saliti subito, sono stati osannati e poi siamo arrivati a fine anni cinquanta e già altre forme stavano prendendo il volo, come la concettuale, la pop e insomma, tutto il casino che vediamo da tempo. Per cui si è detto che l'astrattismo in genere, in tutte le sue forme, era ormai in caduta libera e per tanti altri della vecchia guardia non c'è più stato posto.
Però, a partire dal nuovo millenni è certo che tutti voi siete stati finalmente rivalutati, o se vogliamo, considerati nel giusto modo.
Si, pensa che passati gli ottanta, mi trovo ad essere preso da casa per essere fatto girare come una trottola ad ogni manifestazione in tema, insomma tutti mi vogliono e vogliono vedermi. Sono una vecchia gloria e un residuato di un tempo giunto fino al presente, uno dei pochi in vita, con l'eccezione di due o tre donne, anch'esse molto considerate e reputate.
Puoi farmi qualche nome?
Te ne faccio uno, anche se è morta una decina di anni fa, <Michael West, che sai si chiamava Michelle, bravissima e oggi super considerata da tutti.
Poi quando è venuta Carmen Herrera è stata l'apoteosi, un fatto direi quasi di telepatia, non so come definire una astrattista che non fosse presente dall'inizio. http://arthistoryunstuffed.com/michael-west-the-artist-was-a-woman/
Che suggerimento puoi dare a uno come me, voglio dire uno che non è anagraficamente giovane e che ha già macinato molti anni con pennelli e tecniche varie?
E' difficile, ma se vuoi fare l'astrattismo devi sempre esercitarti, studiare i colori che puoi vedere con chiarezza, trovarne le scalature e contrasti giusti per te, e infilarli in forme congeniali. Prova e riprova, e non fermarti, dopo uno strato ritorna sopra e poi di nuovo. Quando pensi di non poter più riuscire a migliorare il lavoro, ti fermi e se ti soddisfa lo consideri finito. Ma farai bene a togliertelo davanti perché altrimenti sarai preso da cento dubbi.
Passa al prossimo lavoro e vai avanti, giorno dopo giorno, vedrai che la strada si apre, tra foglie, arbusti, erbacce, finisci comunque per trovare la via.
Ultima domanda: perché gli astrattisti lavorano su grandi formati?
Per la legge dell'effetto. Una grande campitura di colore non è uguale alla percezione, al confronto di una piccola. Credo sia una regola che deriva da Matisse, ma in ogni caso basta prendere un lavoro in acromia, usando solo il nero, puoi renderti conto di cosa accade se prendi lo stesso quadro di 2x2 metri e ne fai una copia di 40x40 cm. La quantità di pigmento che percepisce la nostra retina è ben differente, c'è un problema di saturazione dei recettori....
Grazie Joe.
Una nota ancora personale:
Quando parlavo con Mathieu e Soulage, mi dicevano la stessa cosa, che l'astrattismo non è una mera tendenza dell'arte del novecento, no. L'astrattismo nell'arte è un modo di rapportarsi al mondo e di rappresentarlo vecchio di millenni.
Perché se è vero che ad Altamira o a Lascaux, ci sono i tipici graffiti raffiguranti animali e scene di caccia, è anche vero che da sempre ritroviamo graffiti che rappresentano simboli astratti, forme simboliche primitive che valgono ancora oggi. Pensa alla svastica, ne esistono una decina di varianti e nelle varie culture la svastica è presente come simbolo dell'universo, di una spirale che richiama una galassia.
Perché culture che non si sono mai incontrate hanno raffigurato la svastica? La domanda è importante e sebbene non abbia una risposta, posso dire che si tratta di una astrazione, di un simbolo che viene prima di numeri e lettere. E si tratta di uno sei simboli diciamo realmente primitivi, universali, arcaici appunto, che appartengono all'uomo come individuo e come gruppo più allargato.
Ora, è anche vero che nessuno quando pensa all'astrattismo pittorico, pensa a simboli stilizzati o universali ma per la nostra mente, c'è comunque qualcosa che li richiama, che se ne sia coscienti o meno.
Perché l'espressionismo astratto e l'astrattismo come espressione artistica si è detto che sono dei residui degli anni degli anni trenta fino ai cinquanta del novecento?
Perché almeno per me, perché si pensa all'astrattismo come a una tendenza artistica, ad una sua forma di sviluppo che è iniziata in modo esplicito con alcuni pittori di origine russa, per poi espandersi in America e finire la parabola discendente nei sessanta, ormai sostituita dalla pop art e dal minimalismo.
Ma lo ripeto, l'astrattismo, è sempre esistito e sebbene sia stato anche un periodo importante della storia dell'arte del novecento, è pur sempre una delle forme principale di concepire ed esprimere arte, da sempre e anche ai tempi odierni.
Se pensiamo alla Pop, da quanto vediamo le immagini di Marilyn Monroe attaccate alle pareti, in quadricomia, tricomia, in B&W, con colature di colori tirate sopra e simili? Qui la risposta è precisa: dal 1948-49, almeno in Inghilterra, dove la Pop ha avuto la prima mostra (show) ufficiale.
Ora, è pur vero che alcuni lavori di Warhol sono innovativi e entrano nella storia dell'arte, non c'è dubbio, ma non più e non meno di altri di Paolozzi e di Blake. Ma ho guardato attentamente le aggiudicazioni di questi due e altri artisti britannici della pop, ormai da anni nella storia dell'arte e nessuno di loro ha neanche solo sfiorato valori superiori ai 20 milioni di sterline per un pezzo singolo.
E allora, la considerazione è sempre la stessa: il valore storico e artistico di un opera non è sempre in relazione al valore tributato dal cosi detto mercato.
Sappiamo infatti che su Warhol ci sono tre collezionisti che ne sostengono le quotazioni a spada tratta e ad ogni costo, che grandi gruppi finanziari se li passano di mano, anno dopo anno, in un crescendo continuo e sappiamo anche come finisce questo tipo di speculazione portata all'estremo.
Inoltre, acquistare un opera di Paolozzi è praticamente impossibile, perché solo grandi musei ne possiedono il lascito. Ad esempio ricordo che un mio amico si vantava di possedere due Mattioli, e quando gli dicevo che non mi sembra un fatto così eclatante mi rispose di andare a comprarne uno; provaci, a qualsiasi prezzo. Non ci riuscirai perché Mattioli ha lasciato tutto al museo a Bologna e lavori suoi in giro non ce ne sono da decenni.
Mi voleva far riflettere sul fatto che teneva di più a quei due Mattioli che ad altri quadri pagati dieci volte tanto, proprio perché si tratta di un fatto di reperibilità. Piuttosto di uno dei tanti DeChirico dei sessanta in avanti, fatti in serie, con il rischio di incappare in uno dei tanti falsi, preferiva i Mattioli.
Per Schifano, solo un quadro possedeva, un lavoro fatto su carta da pacchi avana nei primi sessanta, su cui si è sicuri dell'autenticità e che oggi hanno valori notevoli, da lui acquisito a metà anni settanta per poche centinaia di lire.
Schifano non è un astrattista in senso stretto, anzi è partito con la pop all'italiana, per poi ricondizionarsi a inizio dei settanta, passando per esperienze molto discutibili, a volte ottime, spesso banali e con il forte rischio di prendersi un bel falso, o un lavoro con firma autografa ma non olografo, cioè fatto dai soliti ragazzotti di cui si circondava. Tutti quelli di Piazza del Popolo hanno espresso un notevole talento che però hanno dissolto con l'uso di droghe e il bisogno di realizzare vendite per far soldi in fretta per pagare i fornitori di sostanze.
Così ci sono e lo sappiamo, centinaia di quadri falsi o non olografi di Angeli, Schifano eccetera, che i gonzi sono pronti a pagare anche dieci-venti mila euri, sempre ammesso che gli originali e olografi li valgano.
Poi Schifano ha un problema di due centri che curano i suoi lavori, uno da poco formatosi, in mano alla famiglia, ma ne esiste un altro, che comunque si ritiene in grado di fornire espertise su un certo periodo della produzione (smisurata e smodata) di Schifano.
Insomma, la pop e le altre tendenze dei settanta e successivi, hanno mangiato e deposto definitivamente l'astrattismo, nelle sue declinazioni, lirico o poetico, geometrico, optical, hard edge, large field, smooth, ecc? No, è evidente che l'astrattismo attuale, come forma di espressione specifica non è da tempo di moda e non fa tendenza, ma sotto sotto, in un modo o nell'altro, molti aspetti tecnici delle varie forme di astrattismo sono riproposte e rielaborate ancora oggi e trovano spazi in show e performance di notevole rilievo. Non parlo quindi di vecchi nomi che sono messi in retrospettiva, mi riferisco a nomi nuovi, diciamo una terza generazione di astrattisti che si unisce alla seconda e ne allarga il discorso, integrandolo nelle tecniche e materiali di oggi.
Certo, la Pop, e quello che va sotto questa etichetta strizza l'occhietto al pubblico, e fa uso di tutti i mezzi per arufianarsi, pescando nelle gocciolature di Pollock per imbrattare il solito volto di Marilyn, o facendo cartelloni pubblicitari stampati in serie con moderni plotter portatili, oppure, producendo bamboline in tema. Ma questo non ha molto a che vedere con l'arte in senso stretto, quanto con il mercato dell'arte.
Diamo al popolino una delle tante fotocopie con qualche imbrattatura di colore alla gente, che la può portar via dalla galleria a pochi dollari.
A una mia amica la gallerista ha richiesto di fare una serie di stampe serigrafiche di qualche suo lavoro pensato ad hoc, in modo da poterle vendere più facilmente per cercare di invogliare la clientela, visti i tempi di crisi.
Ecco, siamo a un altro punto importante: secondo voi, l'astrattismo di Pollock o Rotko e di tanti altri, è pensato per fare delle litografie? Ovviamente no, e questo è un altro punto che decreta la difficoltà di vendere gli astrattisti in confronto alle bamboline pop di Marilyn. Ho visto delle lito di Soulage, ma certamente, per quanto importanti, non rendono che in minima parte la realtà dei suoi lavori importanti, tutti su larga scala.
Il punto è che è probabile che una delle tante furbate di MBW (Mr Brainwash) potranno vendersi in centinaia di fotocopie (o come le chiamano, litografie), oggi fatte con i nuovi sistemi di stampa, permettono delle riproduzioni molto realistiche e con profondità di campo, come nei glicée. per realizzare decine e decine di migliaia di dollari, e annacquando le città e le case della gente, convinta di avere la fotocopia firmata di un piccolo capolavoro (ma si possono fare glicée anche molto grandi, non è un problema e su carte di 140 mg.
Una galleria impazzirebbe per avere qualche decina di queste fotocopie firmate, le incolla su un bel pannello e voilà, si mette su un bel prezzo di 4-6 mila euri e via alla vendita sold out.
Mentre il povero nostro astrattista poetico, che cerca nuovi abbinamenti di colori, nuovi effetti, sperimenta impasti particolari su materiali nuovi, come tele ramate eccetera, fatica da morire anche solo per trovare una gallerista che ti dica che non sono malaccio. Capito, non malaccio? Ma vattelo a pià...
Poi vai a vedere la gallerista, entri e ti trovi qualche sedia appesa al soffitto, una rete da pescatori biascicata da un cane assieme a qualche palla da tennis sempre mezza spellata e sbucciata.
E' la minimal, la conceptual art, capito? E i geni che la fanno sono ragazzotti che provengono da studi rigorosi, tutti diplomati alle varie accademie, elogiati come dei semidei, comunque dei geni al comando del mondo dell'arte.
Salvo che di questi geni, almeno quelli che mi ricordo così elogiati negli anni ottanta, ne sono sopravvissuti non più della metà, l'altra si salva con mostre negli emirati, in Marocco, o nell'estremo Oriente, voglio dire, e chi li sente più?
E' anche vero che l'altra metà continua a godere dei favori di galleristi e curatori di eventi, da molti anni, direi in lustri, almeno 5 lustri, non poco no?
Per tutti quelli che vogliono iniziare un loro percorso, la strada migliore da seguire è di trasferirsi in un centro almeno capoluogo di provincia, cercarsi uno spazio presso associazioni o anche e sarebbe meglio, prendendolo in affitto solo per l'occorrenza, e invitare con le email una quantità di persone, offrendo un poco di spettacolo, tipo un duo che suona e canta canzoni di oggi, una performance (hai hai, la solita roba) di un lavoro dal vivo, da lasciare in regalo a qualche organizzazione pubblica, vino e spumante, pasticcini e salatini a volontà.
Attaccare alle pareti un numero non eccessivo di quadri, diciamo una ventina, e dotarsi di un bel numero di fotocopie da regalare firmandole con dedica agli intervenuti.
Naturalmente le vere stampe firmate e numerate sono poste in vendita a prezzi che siano proporzionali a quelli dei quadri di stesse dimensioni.
Ad esempio se un quadro 100x100 si prezza a 1000 euri, una foto in tiratura di 20, stesse dimensioni, va al prezzo di 50 euri. Sono solo valori indicativi, per dare un esempio concreto.
Poi, chiusa la mostra, preparatevi alla successiva in altra città.
Se poi riuscite a combinare ad esempio con un artista creatore di designer, che espone lavori in 3D, tipo porta lampade, piccole sculture, oggettistica di stile, sarete al massimo, riuscendo a coprire una buona fetta di interessi di pubblico.
Vedrete che i lavori astratti, con dimensioni medio e medio grandi, colori ben sgargianti, colature, splashing e insomma tutto l'armamentario tecnico, faranno comunque colpo, non meno della solita statuetta putrida di Marilyn o il solito quadretto della marilyn ricoperta di salsa ketchup.
Se poi siete uno che come me, cerca di lavorare solo quando è ispirato e ha in mente qualcosa di preciso da realizzare, che inizia a fare degli schizzi, fa delle prove su carta e cartoncino, e infine prova le varie miscele di medium, il tipo di supporto da preparare (spesso la preparazione della superficie è fondamentale per ottenere dei risultati specifici) e se ritiene di voler esprimere qualcosa che non sia solo un pezzo di materia con dei colori sopra ma almeno per me, qualcosa di più e non fatto per viverci, allora siete nell'empireo dell'arte, qualsiasi risultato otteniate.
In definitiva io sono tra quelli che non solo non vivono di arte, ma che non devono nemmeno praticarla in concreto tutti i giorni, perché sarebbe una delle tante dipendenze e schiavitù. Questo ardere di fuoco sacro per me è una idiozia; non è intelligente, né spiritualmente elevato lavorare più di quanto è necessario per vivere decorosamente, né dedicarsi oltre un limite anche alle passioni e passatempi.
Per me fare un quadro, significa tagliare un pezzo di tela da un rullo alto tre metri, significa poi stenderla e fissarla su un supporto a terra e trattarla con dei materiali che scelgo volta volta.
Poi, siamo al punto principale, siamo di fronte al supporto bianco o comunque vuoto, e non sono uno che si limita a farsi rapire e fa le cose a casaccio, ma ho già elaborato i miei bozzetti, ho fatto le mie prove e so di massima cosa voglio accingermi a fare e per ottenere cosa. Non c'è alcun rapimento mistico, né alcuna espressione consapevole di spiritualità: si tratta di un lavoro dell'intelletto, della fantasia unita alla razionalità. Una sfida tra quanto si è progettato e quello che concretamente si realizza alla fine e può succedere e spesso, che questo confronto non sia appagante o desiderato.
Molte volte ho ripreso dell'intonaco e ricoperto la superficie con una biacca densa e bituminosa, per poi ricominciare da zero. Perché? Perché quello che voglio vedere deve coincidere con quello che avevo progettato, almeno in buona parte. Diversamente sarei in balia di una forza che non controllo, e io non mi sento un medium o un parapsicologo e simili.
Alla proxima