Negli anni settanta c'erano 4 paesi che da soli facevano il 70% del mercato mondiale dell'arte, di tutta l'arte, non solo quella contemporanea, perché se guardiamo
solo quella, si arriva quasi a sfiorare l'80%.
solo quella, si arriva quasi a sfiorare l'80%.
Questi paesi sono nell'ordine: Usa, Germania, GBretagna e Svizzera.
Tutti vi dicono che l'arte è globalizzata, che le tigri asiatiche, con la Cina in capofila, stanno ormai mangiandosi il mercato dell'arte e blah, blah..
Ebbene, ad oggi quei 4 paesi riportati sopra sono ancora, come 50 anni fa, saldamente i 4 paesi leader del mercato mondiale (leggi intermediazione) dell'arte nel mondo, (con l'eccezione della Cina che sta avvicinandosi alla Germania ma occorre tener conto che la Germania ha un settimo della popolazione della Cina).
Vi piacerà sapere che il mercato italico a livello mondiale raggiunge appena il 2% , si avete letto bene, il 2% di tutte le vendite mondiali all'anno viene prodotto in Italia e se può consolare, la Francia non è molto meglio, raggiunge il 3,5% e sta salendo lentamente.
Ora capite perché a livello di record, vantiamo un Fontana a 20 milioni di dollari, con Burri a 10 milioni, quando un trittico di Bacon vende a 150 milioni?
Non c'è alcuna mondializzazione almeno a livello di piazze dove si svolgono le transazioni, mentre è però vero che ci sono paesi orientali, come la Cina, che producono a partire dagli anni ottanta, arte interessante anche per il mercato occidentale, che però continua ad essere prevalentemente intermediata nelle solite piazze di sempre, in primis New York; quasi il 30% di tutto è trattato nella grande mela, con buona pace di Parigi, declinata e crollata a partire dallo scoppio della seconda guerra mondiale.
Godetevi la discussione fatta nel video sotto, ad opera e spunto di uno studio di un bocconiano.
Naturalmente questa gente non si interessa a problemi tipici di alcuni artisti:
Chi sono, che faccio qui, dove vado e dove va il mondo? Insomma sono domande che aprono al mondo della spiritualità, l'essere umano come portatore di istanze che trascendono la pura materialità.
Questa è gente che parla solo di salire su un aereo e fare dei discorsi basati sul valore economico, sull'organizzazione, sulla pura materialità, mentre l'artista è, almeno se è sufficientemente aperto, e introspettivo, collegato con elementi profondi del suo essere.
Questa è gente che parla solo di salire su un aereo e fare dei discorsi basati sul valore economico, sull'organizzazione, sulla pura materialità, mentre l'artista è, almeno se è sufficientemente aperto, e introspettivo, collegato con elementi profondi del suo essere.
Qualcuno pensa che fare arte sia come partecipare a una fiction o a un gioco di società, o a una comunicazione sociale: no, quando si diventa grandi, si riesce a trasmettere qualcosa di più e le persone lo colgono, anche se non sanno descriverlo.
In aggiunta, teniamo conto che non è l'arte intesa in senso tipico, che crea nuovi bisogni ma sono le industrie e tutta la gente che lavora nella ricerca tecnologica.
A innescare il desiderio è la promessa di una sensazione piacevole e mai provata prima; l'offerta di oggetti capaci di trasmettere sensazioni intense
precede di norma la comparsa del desiderio, che dunque si presenta fin dall'inizio orientato all'oggetto. L'attuale codice di scelta genera perciò un agente le cui specialità consistono in primo luogo nella capacità di riconoscere la promessa di una sensazione
piacevole, e poi di seguire gli indizi e le tracce che indicano la via per appropriarsene. (Bauman).
Il punto di Bauman non considera l'artein senso tipico e generale: infatti mentre un nuovo telefonino provoca code ai negozi per acquistarlo, uno show-kermesse come la famigerata Biennale, prototipo di manifestazione evento, non provoca code per appropriarsi di oggetti artistici, e d'altronde, spesso siamo in presenza di rappresentazioni e performance che non sono di fatto acquisibili dai visitatori.
In questo caso siamo in presenza di un evento che serve a sorprendere, provocare, colpire e stupire, utilizzando tutto quanto gli artisti, maghi, tecnologi sono in grado di mettere assieme per colpire i sensi degli spettatori. In seguito, l'autore di uno di questi eventi cercherà di sfruttare il suo nome per poter vendere i suoi prodotti, o riprodurre le sue performance, in un tipico ambito artistico, dove la grande massa resta comunque esclusa.
A quanti può realmente interessare di andare in un certo luogo dove l'artista emergente, reduce dalla famigerata Biennale, espone alcuni suoi pezzi, ad esempio schermate di video, o effetti di luci su delle reti opportunamente installate sulle pareti, se non a quel uno per cento di popolazione dotata di sufficiente capacità di apprezzare tali opere e denaro per acquisirle?
Dall'evento alla vendita c'è un adattamento che spesso è notevole: fare una scultura alt 30 metri per la Biennale, in modo da stupire, poi si deve adattare alle misure tipiche del 99% delle gallerie che vendono prodotti artistici.
Per contro i piccoli galleristi non potranno che continuare a esporre e lavorare con i soliti artisti più tradizionali, che producono arte materiale, fatta di pittura e lavorazione di metalli e materiali vari, e già sarà una fortuna se non esporranno solo quei 10 nomi per tutta la loro esistenza, giungendo alla chiusura dell'attività, magari dopo 8-10 anni.
Pensiamo a quante volte in televisione vi vendono sculturine della tale artista, certamente brava ma sfruttata da venticinque anni fino all'osso e in tutte le salse possibili e immaginabili (installazioni in spazi pubblici eccetera, con i soliti permessi e approvazioni di enti locali, comuni, province e corteo tipico di questo tipo di domanda).
Per non parlare di certi nomi, portati nell'empireo, ad esempio quella signora che crea dipinti della luna, una dietro l'altra, che da tutte le parti si cerca di vendere e di fatto sembra con successo.
Una roba che poi non potrà che restare ferma e tornare indietro finita la spinta e prima o poi finirà come è finita per altri nomi in un recente passato.
Saluti